Altro film oltremodo interessante proveniente dal Sud America (la bandiera che sventola è quella argentina), altro film di scavo laddove il movimento archeologico è consanguineo: Agustina Comedi spulcia l’enorme quantità di riprese casalinghe effettuate dal padre Jaime, l’obiettivo è di ricostruire la figura di quest’uomo dal passato complicato. Viene fuori che, al pari, per esempio, di Must Read After My Death (2007), il materiale di repertorio, ieri così ordinario, “normale”, oggi, opportunamente trattato e riassemblato (pollice in su per la montatrice Valeria Racioppi), diventa una perfetta seduta medianica che rievoca tutto un mondo in cui si scivola dentro dolcemente, ci si perde nella nostalgia di ciò che è stato, nell’intimità di un guscio famigliare. Non è mai un caso che queste opere, piccole ma davvero rispettabili, funzionino bene perché al di là di ogni possibile tecnicismo, stile o metodo, possiedono un nucleo di calore che non mi viene da aggettivare in altro modo se non così: umano. D’altronde basta fermarsi un secondo a pensare l’iter filmico della Comedi: riguardare ore e ore di video girate da suo papà (perfino l’ultimo, registrato poco prima dell’incidente mortale), rivedersi bambina felice in una festa, a scuola, in vacanza con i genitori e poi affiancare a tale flusso i blocchi del presente, le interviste agli amici di Jaime, le confessioni sulla sua omosessualità, il sipario aperto su una condotta libertina, promiscua, e quindi impastare il tutto, fare della biografia paterna anche uno spazio per sbrogliare certe matasse dentro, un blob di affetto, stupore e rimpianti.
La penetrazione nella calotta del tempo è vero che recapita a noi (e anche ad Augustina) la storia di una persona controcorrente, però è altrettanto vero, ed è un bel plus per El silencio es un cuerpo que cae (2017), che indirettamente viene delineata anche la Storia di un Paese all’epoca della dittatura. Non è un’illustrazione frontale, piuttosto si capta il dolore e la paura di donne e uomini gay che dovettero vivere nel terrore durante il regime di Jorge Rafael Videla. È una questione che si intreccia con la vicenda di Jaime (lui, comunista convinto) e che mostra a noi quanto resistere sia difficile, e che riuscendoci si viene ripagati delle sofferenze subite. Ma la Storia macina anni implacabile e superata la guerra sucia, un fantasma comincia ad aggirarsi per il globo, è subdolo, invisibile e di lui se ne sa poco, il suo nome è AIDS. Nuovamente la Comedi è lontana da un’esposizione di facciata, è doveroso amalgamare ancora l’esterno con l’interno per dare forma a un dramma che avviene oltre le immagini d’archivio, Augustina dice che ha visto solo due volte Jaime piangere, una per la morte della madre, e l’altra lo si capirà solo esplorando le delicate pieghe di El silencio..., tra i “pause” e i “play” in post-produzione, negli occhi tristi di un testimone di nozze che per undici anni è stato al fianco dello sposo. E allora le cose vanno avanti, in un cinema che si fa staffetta: il padre-regista immortala la figlia-attrice, costei, una volta cresciuta diventa la regista di un film dove il papà è protagonista, e alla fine, nell’immenso cerchio dell’esistenza, un nuovo figlio punta la videocamera sulla propria mamma, sull’ex figlia, sulla regista che, in un nuovo frammento domestico, fa ciò che fece Jaime: filmare la vita che scorre nel corpo di chi si ama.
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