giovedì 16 novembre 2023

Notturno

Be’, che non mi si venga a dire che Notturno (2020) non è la proiezione del suo predecessore Fuocoammare (2016), una simmetria, un riflesso, ok: ci sono delle divergenze ma preferisco partire da ciò che converge e in tal senso c’è un netto allineamento intellettuale compiuto da Gianfranco Rosi: il film ambientato a Lampedusa metteva a... fuoco (pardon) il problema-migranti, che poi lo facesse bene o male è un discorso che forse non sono riuscito a chiarire nemmeno a me stesso, però è innegabile che il topic della migrazione fosse il suo nodo centrale, l’opera girata tra Siria, Iraq e altri Paesi limitrofi non fa altro che andare alla radice del “problema” appena citato, e lo fa senza scivolare su un confronto lampante, senza spiattellare la faccenda in faccia allo spettatore, ed è allora qui che non si può fare a meno di chiedersi quante donne o uomini siriani, kurdi o libanesi si trovavano su quel barcone in Fuocoammare nella “famosa” sequenza della stiva, da questa angolazione Notturno è la premessa, l’antefatto umano che, peraltro, non smette di essere tale visti i continui flussi verso l’Italia. Quanto mi preme dire in sostanza è che nel collegamento tra i due documentari quello più recente si dimostra pudico nel mostrare i drammi di quelle zone, i conflitti ci sono ma solo oltre un orizzonte da cui provengono funerei rimbombi, la morte c’è ed è ovunque ma ’sta volta resta fortunatamente fuori campo, o al massimo sgorga dalle lacrime delle madri che visitano le carceri dove hanno torturato e ucciso i loro figli, oppure nei disegni dei bambini sopravvissuti alle terribili angherie dell’ISIS. In generale ritengo apprezzabile questo sottrarsi di Rosi alla frontalità della tragedia, questo suo interessarsi ai pezzetti di un mosaico marginale, d’altro canto le indicazioni geografiche ci parlano solo di zone di contiguità, alla fine paga abbastanza, o perlomeno paga molto di più rispetto a quando il mirino della cinepresa era puntato esclusivamente su un unico obiettivo, vedi il sopravvalutato Sacro GRA (2013).

Trattandosi di Rosi sappiamo che il livello estetico non può che assestarsi su un piano elevato, per alcuni critici forse troppo elevato al punto da creare uno scollamento tra la forma e il contenuto. In effetti, se si esclude il lavoro giovanile Boatman (1996), il cinema di questo autore ha subito un progressivo processo di estetizzazione tanto da trovarmi d’accordo con le parole di Leonardo Gregorio nella sua recensione su Gli Spietati (link) nella quale viene proposto un parallelo solo in apparenza azzardato con Paolo Sorrentino. Quando la patinatura di una pellicola prende il sopravvento su tutto il resto si ha come la sensazione che le tematiche affrontate si inaridiscano di fronte ad una messa in scena tirata ostinatamente a lucido, non so se sia un’impressione errata o un pensiero troppo intransigente, fatto è che in Notturno (e, dato che è stata una visione recentissima, anche, ad esempio, in È stata la mano di Dio, 2021) le immagini a tratti prevaricano sui possibili significati, non è che li inglobano in sé, li schiacciano proprio, il che non sarebbe affatto un difetto per certi esemplari cinematografici (e infatti per Sorrentino la riflessione è meno calzante), ma qui, in una prospettiva che si prefigge di cogliere la realtà, e nello specifico una realtà dura, difficile, complessa, una ricerca formale di tal fatta genera una sorta di idiosincrasia, come se l’urgenza di quei luoghi venisse coperta da una bellezza che forse non era così necessaria.

Non so, Rosi continua a mettermi in difficoltà, ma non è un mettermi alla prova, non è un cimentarsi con qualcosa di arduo da vedere, da capire, è più un ragionare senza troppa convinzione su un risultato che altrove produce risultati di ben altro spessore attraverso metodi meno appariscenti (penso sempre a Sylvain George), ciò non toglie che comunque qui vi siano scampoli di lucore che sono felice di aver visto, a prescindere dalle modalità espositive non capita tutti i giorni di entrare dentro ad un manicomio a Baghdad oppure ascoltare i messaggi vocali di una donna rapita dall’ISIS inviati alla mamma. Quindi non c’è un quindi e neanche una conclusione, Rosi è un signor professionista e questa è la sua idea di settima arte, nello sterminato panorama contemporaneo mantiene una posizione rispettabile, l’importante è sapere che esiste anche dell’altro.

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