giovedì 9 novembre 2023

Diamond Island

Così così questo lungometraggio cambogiano con importanti quote francesi alla produzione, e prima di inoltrarmi nel solito commento striminzito mi e vi pongo un quesito che al di là di ogni possibile difetto sta alla radice del mio scarso apprezzamento: può un film che è insindacabilmente orientale per via del set, dei temi trattati e degli attori coinvolti non piacere perché non abbastanza orientale? Il regista Davy Chou faticherebbe non poco a comprendere un tale interrogativo, mi metto nei suoi panni di giovane filmmaker e scorgo un debuttante che ha voluto raccontare uno spaccato adolescenziale all’interno di un definito contesto socio-culturale problematico, però, se lui si mettesse nei miei panni, ovvero quelli di uno spettatore occidentale che ha memoria ed esperienza di un cinema proveniente dall’Asia, e in particolare dal sud-est asiatico, credo sarebbe d’accordo nell’affermare che Diamond Island (2016) manca di quella stordente alterità che in passato ci ha letteralmente ribaltato dalla poltroncina della sala. Al sottoscritto, qui, tutto è sembrato troppo pulitino, una messa in scena orizzontale di drammi non particolarmente ficcanti, un’intelaiatura narrativa che si muove su binari prevedibili e una squadra di attori in erba che fa quel che può alle prese con dei ruoli monodimensionali. Se si è benevoli si potrebbe considerare la pellicola come un lavoro sincero perché si intuisce che è stata pensata, prodotta e girata... in buona fede, ma trovare dell’altro oltre la tiepida simpatia che suscita la vedo difficile.

E dire che di argomenti sul tavolo Chou ne mette parecchi: la condizione dei poveri lavoratori che si spostano dalle campagne della Cambogia verso la capitale per guadagnare qualcosa in più da mandare a casa, Phnom Penh e lo squilibrio tipico delle megalopoli che si trovano a quelle latitudini con i grandi contrasti irrisolti tra progresso tecnologico e tradizione (l’isola del titolo è un sito ultra moderno in costruzione collegato alla città da un ponte), le relazioni amorose tra i ragazzi del luogo (c’è un focus sul giorno di San Valentino che ha più o meno la stessa nostra valenza con però maggiore accento sulla componente sessuale), i legami di una famiglia interconnessi con le strade del futuro (gli Stati Uniti come terra promessa) e messi a dura prova da un evento luttuoso. È innegabile che tali questioni siano presenti in Diamond Island ma è altrettanto innegabile che sono tutti affrontati all’acqua di rose, il risultato è che questa è una visione che non incide, passa, scorre e la si dimenticherà molto presto. Da una premessa del genere, e in relazione al fatto che voglio sfruttare al meglio il mio tempo libero, non darei un’altra chance a Davy Chou.

Ah: caruccia la scena della neve.

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