mercoledì 8 novembre 2023

Soy tan feliz

Sei anni prima di Adiós entusiasmo (2017) il regista colombiano Vladimir Durán si cimenta in un cortometraggio “semplice” ma non banale, o almeno non troppo, Soy tan feliz (2011) ha infatti dalla sua la qualità di non voler strafare, di cogliere, seppur in un contesto finzionalizzato, la realtà di tre fratelli focalizzandosi in particolare sul rapporto esistente tra due di essi, Mateo, il più grande, e Bruno, un ragazzone dagli occhi dolci con forse qualche problema cognitivo. Il ritratto di questa famiglia, che non ha niente a che vedere con quella iper-disfunzionale del lungometraggio successivo, è in linea con quel cinema non commerciale arrivato dal Sudamerica dall’inizio del nuovo millennio in poi, mi riferisco ad una capacità della settima arte di insinuarsi con discrezione in una bolla locale facendo a meno di ridondanti sovrastrutture, la recitazione appare ridotta al minimo, la scrittura è appena appena percettibile e in generale il tasso di impostazione rimane al di sotto della soglia di allarme. Reygadas ci ha costruito una rispettabile carriera perseguendo dettami del genere, Durán, che di mestiere fa principalmente l’attore, non verrà ricordato per le sue abilità registiche ma questo suo lavoro, che mi risulta essere un esordio, si dà a noi così come il sottoscritto ha provato a descrivere.

La svolta, interessata a fornire una possibile significazione al frammento visivo di cui siamo spettatori, arriva con il finale dove si verifica una piccola catarsi sessuale che legittima dei passaggi precedenti. In sostanza ciò che ci arriva è il profilo di un ragazzo che vede nel fratello maggiore un modello da imitare (la rasatura dei capelli) e verso il quale prova un amore che trascende la consanguineità per farsi fisico, ferino, istintivo. Non si potrà dire che la conclusione sia memorabile, però il set semi-desertico ed il relativo contatto ravvicinato con la terra non è male, nell’abbandono a sé stesso di Bruno supino sull’erba e in preda ai suoi tormenti, emerge un primo piano che non sfigurerebbe in un’opera di un altro Bruno, Dumont, girata intorno alla prima decade degli anni zero. Bei tempi.

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