Chi ha visto Crulic - The Path to Beyond (2011) [1] sa che il temperamento della rumena Anca Damian è di quelli da tenere sotto stretta sorveglianza, il punto di base è che l’animazione permette di implementare le proprie forme espressive, e quando le cose vanno bene ne giovano tutti, sia i registi che gli spettatori. Rispetto al film precedente appena citato La montagne magique (2015) riduce il suo impegno civile o, se vogliamo, il suo essere “cinema di denuncia”, in favore di una narrazione a più ampio respiro che cavalca una biografia personale a sua volta ancorata alla collottola del grande bisonte della Storia. L’attenzione della Damian è riposta nella figura di Adam Jacek Winkler, un personaggio decisamente eclettico nato in Polonia interessato alle discipline più disparate, dalle arrampicate al disegno passando per la fotografia e il giornalismo. Dall’opera in esame riceviamo inizialmente un paio di informazioni, quella che più spicca è una certa insofferenza verso il regime sovietico che punzecchia dal suo esilio parigino, ma le cose entrano davvero nel vivo quando Winkler decide di partire per l’Afghanistan, nel Panjshir, e combattere insieme ai mujahideen gli invasori russi. Arrivati qui il sottoscritto ha avuto una piacevole epifania, di quelle che ti fanno credere, nonché sperare, che vi siano collegamenti sotterranei tra manufatti artistici distanti tra loro, perché la vicenda a cui assistiamo è praticamente la medesima vissuta da William Vollmann descritta in Afghanistan Picture Show: ovvero, come ho salvato il mondo, memoir di resistenza non senza autoironia ristampato nel 2020 da minimum fax. Che vantaggi comporta questa associazione tra cinema e letteratura? Nessuna. Però è in un qualche modo bello constatare che esistono sentimenti simili anche tra esseri umani agli antipodi.
La struttura pensata dalla regista è alla lontana documentaristica perché abbiamo un lungo commento fuori campo, che in realtà è un dialogo con la figlia (accreditata come co-sceneggiatrice), da parte di Winkler sulle immagini che scorrono in video. Ma appunto le immagini: il piatto forte della Damian risiede proprio nell’estro che è riuscita ad imprimere all’estetica della pellicola, un lavoro che penso chiunque potrebbe definire minuzioso perché i suddetti chiunque non hanno idea dei processi creativi che ne sottendono la realizzazione. La percezione che se ne ha è un variegatissimo patchwork che unisce tecniche e stili, la classicità delle due dimensioni si innesta in visioni tridimensionali così come scampoli di stop-motion sbucano all’interno di curiosi collage fotografici tra realismo e una sua rappresentazione. Se di primo acchito si è un po’ frastornati da cotanta versatilità, con l’avanzare della proiezione le frequenze si assestano riuscendo a farci entrare nell’atmosfera del film, che è cruda occupandosi di una guerra, ma anche malinconica essendo in buona sostanza il lungo flashback di una persona che non c’è più e che ha avuto una vita incredibile. Certo, qualcuno potrà anche ritrarsi al cospetto di un titolo del genere, del resto cosa può avere di stuzzicante un biopic animato che bazzica in territori afghani? Vero. Occhio però, in quanto abitanti di questo pianeta suggerirei di non snobbare troppo situazioni ed eventi che avvengono a migliaia di chilometri da noi, non è ovviamente solo l’arte ad essere potenzialmente connessa in un reticolo di intuizioni e impressioni, ci sono aspetti costantemente urgenti da comprendere, e un oggetto nascosto come La montagne magique può essere un buon viatico alla conoscenza. Sull’argomento vale la pena recuperare anche Bitter Lake (2015).
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[1] E io l’ho visto, e ne avevo pure scritto, però per ragioni a me oscure non c’è più traccia di quel post qui sul blog. È la prima volta che succede, o almeno è la prima volta che me ne accorgo, magari sono spariti decine e decine di altri post. Non ho idea di cosa sia successo, di certo il mondo continuerà ad andare avanti come sempre, voi, nel mentre, ricordatevi che esiste in mezzo al tempo la possibilità di un’isola.
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