martedì 14 novembre 2023

Bait

Quest’operazione di chirurgia estetica inversa mirata a invecchiare il paziente-film e non a ringiovanirlo, è una scelta che ha le sue radici negli interessi personali del regista Mark Jenkin, uno a cui piace molto di più la resa in video analogica rispetto a quella digitale. Io concordo però, seppur Bait (2019) possegga un aspetto anomalo, non si può certo dire che risulti seminale, sono infatti innumerevoli gli esemplari filmici che in passato hanno adottato un’impostazione simile, ciononostante l’opera ha un che di “curioso” se vista nella sua completezza, curiosità che nasce a mio avviso dal seguente contrasto: il racconto di una contemporaneità attraverso modalità apparentemente antiche. Il vestito che Jenkin ha cucito per Bait è difatti tutto sdrucito, slabbrato, imperfetto, pieno di finte abrasioni che sembrano fare della pellicola un ritrovamento da soffitta, tuttavia non ci vuole granché ad apprendere di come la vicenda ruoti intorno al polo magnetico della quotidianità, il denaro, e alle infinite diramazioni che da esso si irradiano, in particolare mi è parso che al filmmaker stia molto a cuore il discorso della tradizione incarnato dal pescatore Martin tallonato dai sintomi di una modernità non sana come la ricerca spasmodica di creare turismo, e quindi guadagno, in una zona dove il turismo non c’era mai stato (siamo in una piccola comunità costiera della Cornovaglia). Fissato a mente il quadro generale la domanda da porsi è: quanto è funzionale l’apparato formale imbastito da Jenkin per esporci la sua storia? Nel senso, ciò che ci ha proposto sarebbe potuto esistere anche con una forma più classica? Sono indeciso. La visione in sé è stata altalenante, se in alcuni frangenti ho percepito una valida concertazione, in altri no e lo spettro di uno sterile pavoneggiarsi si è fatto avanti.

Paradossalmente gli aspetti che più mi hanno impressionato sono anche quelli che ho trovato potenzialmente più criticabili, dal punto di vista della sintassi il flusso che riceviamo colpisce con discreta efficacia, è tangibile un’attenzione quasi maniacale per non dire ossessiva ai dettagli (sulle banconote e sui pesci, due istanze messe in dialogo visivo seguendo la traccia menzionata prima passato vs. presente/futuro) oltre che una serie di accorgimenti non proprio convenzionali, prendiamo l’insistenza sui primi piani che fanno del film una specie di western acquatico d’oltremanica o l’impianto sonoro che è stato inserito in toto in fase di post-produzione. Insomma, tira un’aria inusuale eppure, almeno per il sentire del sottoscritto, non si riesce a sfondare la porta della straordinarietà, è come se una volta tirata via questa corteccia artificiale Bait riveli una nudità meno interessante della sua stessa superficie, ché se qui c’era da riflettere sul capitalismo e derivati concettualmente non riesco a catalogare lo sforzo di Jenkin come memorabile, apprezzabile all’incirca sì, ma memorabile no.

1 commento:

  1. nno sarà un capolavoro, ma è un buon film.
    https://markx7.blogspot.com/2020/03/bait-mark-jenkin.html

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