Eppure... eppure qualcosa oltre l’ordito di normalità scandinava filtra. La scelta di dare un tono da video-diario con dei commenti over di Ulla (mi è parso che siano giusto tre, tanti quanti sono i giorni di fine ottobre filmati) permette di fornire un microscopico appiglio intimo alla pellicola, ed è in uno dei suddetti stralci che essa confessa di aver visto una barca attraccare appartenente, forse, ad un cacciatore che però lei non conosce, l’informazione, proferita en passant, prende vigore nella scena che può essere considerata l’apice dell’opera: con le stesse modalità con cui fino a quel momento erano stati immortalati gli alberi scossi dal vento, la regia si mette frontalmente alla protagonista occupata a tagliuzzare non so che sul tavolo della cucina, d’improvviso, dietro, dalle vetrate che danno sul giardino, vediamo passare un uomo con un giaccone fosforescente, subito dopo, per la prima volta, l’obiettivo si concentra su una Ulla seduta sul water che fissa il vuoto. Ecco, in maniera abbastanza imprevedibile si palesa una particella di inquietudine che non avevamo preventivato, un approfondimento su chi sia il tizio scordiamocelo (per fortuna!), però le scene susseguenti dell’abitazione, seppur pressoché identiche alle precedenti, si colorano di altre sfumature, il corridoio scuro, le luci che si spengono, una schermata nera. Sì, d’accordo, non ci si può entusiasmare, ciononostante la presenza di un’impercettibile deviazione dal percorso generale la si accoglie a proiezione terminata con leggero piacere, la sottile e quasi invisibile filigrana finzionale inserita nel nucleo del documentario, semplicemente, funziona. E attenzione a Edström e Winter, nel 2020 hanno partorito un nuovo film dal titolo The Works and Days (of Tayoko Shiojiri in the Shiotani Basin) della durata di otto (!) ore.
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