sabato 1 luglio 2023

The Anchorage

Il regista californiano C.W. Winter si reca in Svezia insieme al collega/fotografo Anders Edström sulle tracce della madre di quest’ultimo, tutto il film è ambientato su un’isola dell’arcipelago di Stoccolma immersa nel verde dove Ulla vive un’esistenza tranquilla fatta di piccoli gesti che scandiscono la sua giornata. The Anchorage (2009) si pone infatti sulle frequenze di questa realtà isolana, la mdp maneggiata dal duo che non disdegna le luci naturali e che affida la tessitura video ad una piacevole granulosità dal sapore vintage, diventa l’occhio silenzioso che riprende la donna nelle sue faccende quotidiane: il bagno mattutino nelle – immagino – gelide acque del Mar Baltico, la pesca, gli spostamenti in barca per fare la spesa, il taglio della legna, gli incontri con gli amici e i parenti che vengono a trovarla, in buona sostanza non accade nulla di eclatante, il dispositivo documentaristico ha una purezza vicina al 100% e ciò che noi spettatori possiamo al massimo fare è starcene buoni buoni a guardare una signora di mezz’età impegnata in attività di poco conto. Nel cinema ho e sicuramente avete avuto la possibilità di rapportarvi con esemplari in grado di propagare una potente forza magnetica pur operando con pochissimi elementi, non è il caso di The Anchorage, il motivo lo imputo ad un notevole distacco tenuto dai registi nei confronti del materiale girato, non vi sono praticamente mai delle intensificazioni atte a stimolare i ricettori sensoriali, l’abbandono alla cornice naturalistica c’è ma non sprigiona il potenziale che avrebbe, la condotta felpata di Edström & Winter si traduce in una visione neutrale, esterna, non-empatizzante. Come dite? È la precisa descrizione della maggioranza dei lavori autoriali di oggi? Vero. Qui l’ho percepita un po’ di più.

Eppure... eppure qualcosa oltre l’ordito di normalità scandinava filtra. La scelta di dare un tono da video-diario con dei commenti over di Ulla (mi è parso che siano giusto tre, tanti quanti sono i giorni di fine ottobre filmati) permette di fornire un microscopico appiglio intimo alla pellicola, ed è in uno dei suddetti stralci che essa confessa di aver visto una barca attraccare appartenente, forse, ad un cacciatore che però lei non conosce, l’informazione, proferita en passant, prende vigore nella scena che può essere considerata l’apice dell’opera: con le stesse modalità con cui fino a quel momento erano stati immortalati gli alberi scossi dal vento, la regia si mette frontalmente alla protagonista occupata a tagliuzzare non so che sul tavolo della cucina, d’improvviso, dietro, dalle vetrate che danno sul giardino, vediamo passare un uomo con un giaccone fosforescente, subito dopo, per la prima volta, l’obiettivo si concentra su una Ulla seduta sul water che fissa il vuoto. Ecco, in maniera abbastanza imprevedibile si palesa una particella di inquietudine che non avevamo preventivato, un approfondimento su chi sia il tizio scordiamocelo (per fortuna!), però le scene susseguenti dell’abitazione, seppur pressoché identiche alle precedenti, si colorano di altre sfumature, il corridoio scuro, le luci che si spengono, una schermata nera. Sì, d’accordo, non ci si può entusiasmare, ciononostante la presenza di un’impercettibile deviazione dal percorso generale la si accoglie a proiezione terminata con leggero piacere, la sottile e quasi invisibile filigrana finzionale inserita nel nucleo del documentario, semplicemente, funziona. E attenzione a Edström e Winter, nel 2020 hanno partorito un nuovo film dal titolo The Works and Days (of Tayoko Shiojiri in the Shiotani Basin) della durata di otto (!) ore.

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