domenica 2 luglio 2023

Alpha: The Right to Kill

Eccoci nuovamente a Manila invischiati in una vicenda di droga e malaffare, eccoci, ancora, a fare i conti con il realismo di Brillante Mendoza. Ad essere onesto, al solo vedere della locandina auspicavo che il suo stile, a ’sto giro, venisse convogliato in un bell’action movie da vivere in apnea perché almeno potenzialmente il regista di Kinatay - Massacro (2009) avrebbe nelle corde una declinazione del genere. Ma così non è, pur inglobando degli aspetti crime (più o meno concentrati nei primi quarantacinque minuti), Alpha: The Right to Kill (2018) rimane un film di Mendoza sia nel guscio che nella polpa, e quindi al succitato canale di trasmissione si affianca un’immancabile critica alla società filippina. Va anche detto che la parte iniziale ricalca un po’ troppo il precedente Ma’ Rosa (2016), il fatto di assistere ad una ripetizione di tematiche e di scene non è propriamente esaltante, con tutte le differenze del caso i punti di contatto tra le due storie si avvertono più come un’assenza di rinnovamento che il segnale di una continuità autoriale. Pusher, stupefacenti, gente che tira a campare come riesce, gli immondezzai della città, gli accaldati uffici della polizia, sì in Alpha ci sarà anche uno sguardo più “d’assalto” (si veda il blitz notturno nel covo dei delinquenti) però alla fin fine sempre di quello Mendoza ci parla, con l’aggravante che in Ma’ Rosa, per via di una costruzione narrativa maggiormente tesa e di una protagonista con cui era facile empatizzare per via della vita che conduceva, i meccanismi parevano decisamente ben oliati e, ad esclusione del finale, le cose filavano via piuttosto bene, qui al contrario si accusa una certa impostazione che allontana l’opera dal suo centro gravitazionale, quel reale che c’è, per carità, ma che non raggiunge le frequenze a cui Mendoza da sempre aspira.

Il motivo, oltre al menzionato impianto derivativo, si può rintracciare anche in un messaggio di fondo proposto in modo ingenuo, privo di spessore, e che si prende la seconda sezione del film. Beninteso, non è ingenua l’invettiva di Mendoza nei confronti di un Paese che evidentemente ha grossi problemi su svariati fronti, lo è per come è portata avanti perché in maniera scolastica vengono esposti i profili dei due uomini nel mezzo della scena, ceti sociali diversi (uno vive in una discarica e l’altro in una bella casa), mestieri diversi (al massimo dell’antitesi) ma entrambi con una famiglia da accudire e proteggere e un eguale destino (oltremodo telefonato), questa rappresentazione delle tipiche facce di una stessa medaglia non ce la fa a decollare davvero, resta imbullonata nello scenario urbano dove alberga (già visto e stravisto nel cinema mendoziano) e dove viene presentato un depliant di corruzione, delinquenza e traffici sporchi (i piccioni... spacciatori, indubbiamente la cosa migliore sullo schermo) che non suscita feedback particolari. L’immediatezza con la quale Mendoza gira può diventare un’arma a doppio taglio, se da un lato risucchia, crea (in teoria) dello shock, dall’altro, quando vuole farsi portatore di un preciso sottotesto, pecca di una frenetica istantaneità che non fa rima con intensità. A tal proposito il violento controfinale, anticipato a sua volta da un picco di tragicità che bastava e avanzava, è il modello di una non necessaria esplicazione che tramuta in forzatura un possibile gesto di vendetta. Chiudendo il commento di Ma’ Rosa dicevo che non sarebbe stato male, un giorno, vedere Mendoza alle prese con un lavoro diverso dal solito (magari un altro Captive [2012], però migliore), con Alpha, quel giorno, non è ancora arrivato.

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