Il motivo, oltre al menzionato impianto derivativo, si può rintracciare anche in un messaggio di fondo proposto in modo ingenuo, privo di spessore, e che si prende la seconda sezione del film. Beninteso, non è ingenua l’invettiva di Mendoza nei confronti di un Paese che evidentemente ha grossi problemi su svariati fronti, lo è per come è portata avanti perché in maniera scolastica vengono esposti i profili dei due uomini nel mezzo della scena, ceti sociali diversi (uno vive in una discarica e l’altro in una bella casa), mestieri diversi (al massimo dell’antitesi) ma entrambi con una famiglia da accudire e proteggere e un eguale destino (oltremodo telefonato), questa rappresentazione delle tipiche facce di una stessa medaglia non ce la fa a decollare davvero, resta imbullonata nello scenario urbano dove alberga (già visto e stravisto nel cinema mendoziano) e dove viene presentato un depliant di corruzione, delinquenza e traffici sporchi (i piccioni... spacciatori, indubbiamente la cosa migliore sullo schermo) che non suscita feedback particolari. L’immediatezza con la quale Mendoza gira può diventare un’arma a doppio taglio, se da un lato risucchia, crea (in teoria) dello shock, dall’altro, quando vuole farsi portatore di un preciso sottotesto, pecca di una frenetica istantaneità che non fa rima con intensità. A tal proposito il violento controfinale, anticipato a sua volta da un picco di tragicità che bastava e avanzava, è il modello di una non necessaria esplicazione che tramuta in forzatura un possibile gesto di vendetta. Chiudendo il commento di Ma’ Rosa dicevo che non sarebbe stato male, un giorno, vedere Mendoza alle prese con un lavoro diverso dal solito (magari un altro Captive [2012], però migliore), con Alpha, quel giorno, non è ancora arrivato.
Sostiene Pereira
6 ore fa
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