martedì 25 luglio 2023

Nueva vida

Tutt’altra ambientazione quella di questo corto firmato da Kiro Russo, se nel precedente Juku (2011) e nel successivo Viejo calavera (2016) la sua mdp razzola nelle buie profondità della terra, in Nueva vida (2015) si posa per antitesi sui tetti di un agglomerato urbano in una qualche cittadina del Sud America. A prima vista sembra quasi di assistere ad un lavoro di Eduardo Williams da sempre amante di location urbane poste tra l’asfalto ed il cielo, inoltre anche esteticamente c’è una somiglianza col cinema dell’argentino, non ho trovato informazioni a riguardo, ma mi è parso che Russo abbia girato direttamente su pellicola o al massimo in digitale con susseguente travaso nel formato analogico, comunque siano andate le cose, l’effetto finale possiede quel nient’affatto disdicevole sapore retrò con colori a volte iper-carichi (si noti il rosso della bacinella, dell’anguria o della maglietta del ragazzo) e a volte più mosci, in generale c’è una qualità video lontana dall’alta definizione che però nell’aspetto invecchiato che sfoggia rimane piacevole da guardare. Vabbè, sono evidenti bazzecole che il sottoscritto ha ripetuto a iosa perché certa settima arte tende, giustamente, a mescolare le forme guardandosi indietro per avere maggiore spinta in avanti, e se ho voluto sottolineare l’ovvio è perché Nueva vida è uno di quei film che mettono in difficoltà il recensore di turno per via della stasi che lo costituisce, una stagnazione puntata sul reale e quindi molto quotidiana nonché, forse, confidenziale.

Uno spettatore con poca pazienza liquiderebbe il cortometraggio con male parole, d’altronde qui non si va oltre l’osservazione di una giovane coppia con pargoletto all’interno della loro abitazione. Il metodo osservativo non è tuttavia canonico, potrebbe trattarsi di uno sterile esercizio di stile come il contrario, quel che si annota è la scelta di utilizzare una prospettiva “da lontano” per scrutare il trio, se notate Russo, in ogni sequenza, è in una posiziona elevata rispetto ai soggetti ripresi ai quali si avvicina con dei lenti zoom progressivi che non arrivano mai alla nitidezza del dettaglio. Come silenziosi testimoni oculari, come voyeur di vite qualunque, rubiamo pezzetti di ordinarietà nell’esistenza di due genitori alle prese con la meraviglia di avere un fagottino di carne che dorme con loro nel letto. Eh sì, allo spettatore citato sopra non gli si potrebbe dare torto perché a livello epidermico non c’è altro, eppure quest’idea di un film che con discrezione sfiora un’intimità, che non ha l’urgenza di raccontare l’evidenza, che non alza la voce perché una voce, in pratica, non ce l’ha, a me seduce assai e mi fa viaggiare con delicatezza in un mondo che arriva ad appartenermi per appena quindici minuti e niente più. Infine, attenzione alla conclusione e al cane che abbaia: una breccia onirica si apre e lì l’opera termina.

Nessun commento:

Posta un commento