venerdì 21 luglio 2023

Fausto

Cinema-sortilegio, cinema-mefistofelico, transitare nella cultura popolare germanica per raccogliere gli echi del Dottor Faust e riversarli sul litorale messicano, fare sì che il carico esoterico si espanda nel territorio, nella natura, nelle persone che lo popolano, e quindi ascoltarle queste persone, ricevere in dono una matassa di storie oscure piene di spiriti, tenebre, luci, animali telepatici, tombe duplicate e uomini senza un braccio, assemblare questa corrente narrativa ricolma di folklore e leggenda per cucirla addosso alle parole di un narratore esterno, una voce che fluttua sulle immagini, che ne doppia il labiale, che divaga (la vista dei cavalli), che avrebbe il compito di farsi esplicativa ma che in realtà salpa per altri lidi, e quindi soffermarsi su quattro ragazzi che gestiscono un locale sulla spiaggia, ulteriori fonti di un racconto che si incrocia col mistero circostante, conglobare la moltitudine di sfuggenti input in un film che intesse delle relazioni estremamente pericolose con il diavolo o qualcosa che gli si avvicina. Fausto (2018) suona così, discordante (ingressi di synthop per nulla allineati) e puzzolente, di zolfo, ovvio, pieno di gente strana in cerca di ombre scappate via, di baratti esistenziali con soggetti, a quanto si dice, poco raccomandabili, di favole nere che germogliano di bocca in bocca. Stelle e aloni lunari sfarfallanti, tartarughe, atomi, tassidermia, schiuma, lampi. Il vocabolario da sfogliare, la nostra tavola alchemica.

E inoltre: trasferire il materiale girato in digitale su pellicola da 16 mm non è un dettaglio, è una componente che aggiunge magnetismo, la resa video sembra invecchiata, leggermente pallida, Andrea Bussmann, canadese classe 1980, moglie del collega Nicolás Pereda con il quale si è recata per un periodo di vacanza a Oaxaca dove ha potuto concretizzare certe idee che le frullavano in testa, ha ben chiara la direzione che alcuni autori stanno dando alla settima arte oggidì, la pietra da sgrezzare è il documentario che ormai è un genere letteralmente esploso in sottocategorie inclusive, veri e propri spazi che accolgono filoni finzionali, luoghi di coesistenza tra ritratto etnografico e iniezione artificiale; soprattutto: darci dentro sul versante fittizio, imbandire la scarna superficie del reale con vettovaglie non necessariamente coordinate, il tutto senza forzare la mano in modo da raggiungere un equilibrio suggestionante. E la Bussmann che dice? Che fa? Che combina? Nell’incantesimo luciferino, nella fattura che ci viene recapitata, appare evidente (no, di evidente non vi è giustamente nulla) che lei stessa sia la Signora del Male apparsa nelle vesti di chierico vagante di gucciniana memoria davanti a noi, e sapete che c’è? Sono stato ben felice di venderle la mia anima in cambio di un’ora e dieci minuti di proiezione.

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