Il primo lungometraggio di João Vladimiro ha all’incirca la medesima tendenza contemplativa di Lacrau (2013) ma non la stessa struttura. Il raggio d’azione del regista portoghese è circoscritto all’interno di un parco pubblico che cinge la Fondazione Calouste Gulbenkian, un’importante area culturale situata a Lisbona che comprende due musei, un auditorium e appunto il giardino che le sta intorno. Per un anno Vladimiro si piazza in questo spazio verde con la sua videocamera raccogliendone lo scorrere della vita, umana e non, che lì accade nella tranquillità e nella quotidianità tipica di zone del genere, calate nelle città eppure separate da esse, piccole oasi dove si possono fare svariate cose che Vladimiro non si esime dal riprendere: pescare nel laghetto, giocare con l’acqua delle fontane, sfamare dei gatti, partecipare ad una gita scolastica, organizzare un picnic oppure lavorare come manutentore, operaio, impiegato ma anche musicista, direttore d’orchestra o attore. Jardim (2008) si pone l’obiettivo di fornire allo spettatore una panoramica il più possibilmente completa dell’ecosistema rintracciabile, date le frequenze molto dilatate non si può sostenere che il film colpisca troppo il nostro lato emotivo, ma vabbè, sappiamo che certi esemplari di cinema sono così e dobbiamo serenamente accettarlo, il filmmaker, dal canto suo, tende a creare un bilanciamento tra il comparto naturalistico e quello legato alle attività della Fondazione (concerti, mostre, rappresentazioni teatrali), l’idea è tollerabile e con i suoi ritmi sta in piedi da sola, sono rimasto un po’ interdetto di fronte all’invadenza degli accompagnamenti musicali (spesso coinvolti in un gioco acustico con le reali esibizioni), al solito ho avvertito una tale abbondanza sonora non opportuna.
I più attenti avranno notato che i presupposti di Jardim sono davvero simili all’assunto di The Woods Dreams Are Made of (2015), e che mi venga un colpo se non ho ragione!, c’è però una differenza sostanziale nello sviluppo della faccenda, il lavoro di Claire Simon, pur orizzontandosi in un luogo identico, sceglie di porre sotto la lente di ingrandimento la bizzarra umanità che ha a che fare col Bois de Vincennes, il che permette all’opera di aprire scenari – anche narrativi nonostante la presa documentaristica – decisamente stuzzicanti oltre che funzionali all’edificazione di un collage antropologico di prima fascia. Vladimiro invece se ne sta piuttosto lontano dagli uomini e dalle donne che popolano il parco pubblico, l’unica eccezione che si concede è per un architetto paesaggistico impegnato a dirigere delle operazioni di ristrutturazione. Tenendo un profilo di tal fatta la pellicola esaurisce abbastanza in fretta il potenziale che avrebbe, una volta intesa la direzione non vi saranno sorprese di nota e la nave arriverà placidamente in porto (cito giusto due frame gemelli che ho gradito: l’occhio di una lepre tra i cespugli e subito dopo un bacio tra due innamorati). C’è da dire, e bisogna dirlo sempre, che è un esordio [1] (e si vede qui e là che è ancora un oggetto leggermente grezzo), quindi state in campana e, se mai un giorno incrocerete la strada di Jardim, cercate di dare il corretto peso ai difetti che eventualmente riscontrerete.
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[1] Prima parrebbe esserci soltanto un corto dal titolo Rooted Foot (2006).
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