
Tra il 2018
ed il 2019 Werner Herzog mette a segno una doppietta documentaristica
che ritrae due figure a lui care, Bruce Chatwin in
Nomad - In cammino con Bruce Chatwin (2019)
e Michail Sergeevič Gorbačëv (al diavolo le traslitterazioni) in
Meeting Gorbachev (2018).
La “buona” notizia è il ritorno al documentario per il quasi
ottantenne bavarese, cosa che gli auguro di perseguire anche per la
restante parte di carriera perché ormai la fiction non è più affar
suo (e forse non lo è mai stata, ad esclusione del periodo d’oro
con Kinski), basta prendere le ultime due proposte, Queen of the
Desert (2015) e Salt
and Fire (2016), per capire
quanto sia superata la sua idea di cinema. Qui, aiutato dal collega
André Singer, fa le cose semplici semplici: nell’arco di sei mesi
incontra Gorbačëv tre volte e scopriamo che il leader sovietico è
ora diventato un bonario vecchietto con qualche problema di salute,
rispetto all’uomo che salì sul palco di Sanremo è rimasto poco,
perfino la sua celeberrima macchia sulla fronte si è sbiadita. Non
si è sbiadito invece quel fervore politico che Herzog titilla a più
riprese lasciandosi andare ad una disinvolta ammirazione (“we love
you”: non scordiamoci la nazionalità di Herzog ed il ruolo di
Gorbačëv nella riunificazione della Germania) derivante da un
excursus biografico che ricostruisce la vita dell’ex segretario
dagli albori nel paesino natale fino all’ascesa nel Partito
Comunista e al crollo dell’Unione Sovietica. In realtà gli
effettivi minuti di confronto tra Werner e Michail sono piuttosto
ridotti rispetto all’impiego di materiale d’archivio alternato ad
altre conversazioni con esponenti politici dell’epoca, ad ogni modo
la tipica voce anglo-teutonica di Herzog, un vero marchio di fabbrica,
è il collante che permette al film di scorrere via senza
appesantire.
Che
cosa resta, oggi, in un personaggio così importante che ha
rivoluzionato un intero Paese e spostato gli equilibri internazionali
è ciò che rimane in tutti gli uomini, anche i più anonimi: i
ricordi, e i sentimenti legati ad essi. Non credo che ci siano grandi
rivelazioni in Herzog incontra Gorbaciov (sono tuttavia pronto ad essere smentito da chi è più ferrato in materia),
quanto viene raccontato è di dominio pubblico ma sentire l’opinione
del diretto interessato, unita ad un ripasso di storia contemporanea,
male non ci fa. Da uno con l’esperienza di Herzog si poteva pensare
ad un’opera meno... come dire, giornalistica, se non si fosse messo
in prima persona davanti alla videocamera e se non avesse
accompagnato i filmati di repertorio col suo commento staremmo
parlando di un lavoro abbastanza impersonale, lineare, catodico
quando ancora la tv non conosceva Netflix, l’unico frangente dove
il regista assesta una zampata vecchio stile si situa nelle domande
maggiormente personali sull’amata moglie defunta, il segmento è
confezionato a puntino con le immagini del funerale, però
restituisce comunque quel lato fragile e umano che anche uno statista
ha (e ci sarebbe da stupirsi del contrario, se non ce l’hanno loro
come potrebbero comprendere le necessità del proprio popolo?). In
definitiva un oggetto ordinario che si infila nello sterminato
calderone del tedesco, l’ultima osservazione che faccio è: perché
non porre una domanda a Gorbačëv sull’attuale situazione in
Russia? La risposta, qualunque fosse stata, penso che avrebbe destato
attenzione.
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