sabato 10 ottobre 2020

Herzog incontra Gorbaciov

Tra il 2018 ed il 2019 Werner Herzog mette a segno una doppietta documentaristica che ritrae due figure a lui care, Bruce Chatwin in Nomad - In cammino con Bruce Chatwin (2019) e Michail Sergeevič Gorbačëv (al diavolo le traslitterazioni) in Meeting Gorbachev (2018). La “buona” notizia è il ritorno al documentario per il quasi ottantenne bavarese, cosa che gli auguro di perseguire anche per la restante parte di carriera perché ormai la fiction non è più affar suo (e forse non lo è mai stata, ad esclusione del periodo d’oro con Kinski), basta prendere le ultime due proposte, Queen of the Desert (2015) e Salt and Fire (2016), per capire quanto sia superata la sua idea di cinema. Qui, aiutato dal collega André Singer, fa le cose semplici semplici: nell’arco di sei mesi incontra Gorbačëv tre volte e scopriamo che il leader sovietico è ora diventato un bonario vecchietto con qualche problema di salute, rispetto all’uomo che salì sul palco di Sanremo è rimasto poco, perfino la sua celeberrima macchia sulla fronte si è sbiadita. Non si è sbiadito invece quel fervore politico che Herzog titilla a più riprese lasciandosi andare ad una disinvolta ammirazione (“we love you”: non scordiamoci la nazionalità di Herzog ed il ruolo di Gorbačëv nella riunificazione della Germania) derivante da un excursus biografico che ricostruisce la vita dell’ex segretario dagli albori nel paesino natale fino all’ascesa nel Partito Comunista e al crollo dell’Unione Sovietica. In realtà gli effettivi minuti di confronto tra Werner e Michail sono piuttosto ridotti rispetto all’impiego di materiale d’archivio alternato ad altre conversazioni con esponenti politici dell’epoca, ad ogni modo la tipica voce anglo-teutonica di Herzog, un vero marchio di fabbrica, è il collante che permette al film di scorrere via senza appesantire.

Che cosa resta, oggi, in un personaggio così importante che ha rivoluzionato un intero Paese e spostato gli equilibri internazionali è ciò che rimane in tutti gli uomini, anche i più anonimi: i ricordi, e i sentimenti legati ad essi. Non credo che ci siano grandi rivelazioni in Herzog incontra Gorbaciov (sono tuttavia pronto ad essere smentito da chi è più ferrato in materia), quanto viene raccontato è di dominio pubblico ma sentire l’opinione del diretto interessato, unita ad un ripasso di storia contemporanea, male non ci fa. Da uno con l’esperienza di Herzog si poteva pensare ad un’opera meno... come dire, giornalistica, se non si fosse messo in prima persona davanti alla videocamera e se non avesse accompagnato i filmati di repertorio col suo commento staremmo parlando di un lavoro abbastanza impersonale, lineare, catodico quando ancora la tv non conosceva Netflix, l’unico frangente dove il regista assesta una zampata vecchio stile si situa nelle domande maggiormente personali sull’amata moglie defunta, il segmento è confezionato a puntino con le immagini del funerale, però restituisce comunque quel lato fragile e umano che anche uno statista ha (e ci sarebbe da stupirsi del contrario, se non ce l’hanno loro come potrebbero comprendere le necessità del proprio popolo?). In definitiva un oggetto ordinario che si infila nello sterminato calderone del tedesco, l’ultima osservazione che faccio è: perché non porre una domanda a Gorbačëv sull’attuale situazione in Russia? La risposta, qualunque fosse stata, penso che avrebbe destato attenzione.

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