
Come da
titolo, soggiorniamo per un breve periodo sull’isoletta in
questione, un agglomerato di case sul pelo dell’acqua colombiana
che possiede un primato non troppo invidiabile per noi agiati turisti
occidentali, quello di avere una densità abitativa tra le più alte
al mondo, ed il tour operator che si è occupato dell’organizzazione
tecnica del viaggio è l’esordiente Luke Lorentzen il quale si
impegna nei venti minuti a disposizione di offrirci un giro completo
dell’atollo mostrandone le principali caratteristiche. Vista una
permanenza insufficiente per poter almeno tentare di penetrare
nella calura del pueblo, nel
suo spagnolo danzante (e altri colleghi ci avrebbero perfino potuto
fare un lungometraggio visto il materiale trattabile), dobbiamo
mestamente accontentarci del depliant illustrativo. Lorentzen si
concentra su alcuni punti della vita isolana e li pone in serie
alternandoli tra loro, si parte con un pedinamento tra le baracche
avvicendato poi da parentesi scolastiche e da riprese in mare (sopra
e sotto) durante le battute di pesca, coniugate a ciò vi sono
inoltre fuggevoli istantanee locali inserite nella rotta esplorativa,
diciamo che l’itinerario è fin gradevole sebbene non raggiunga
mai, e sottolineo mai, i requisiti per trasportare il visitatore al
di là di quanto viene fatto vedere.
Alibi
al novello regista gliene possiamo dare più d’uno, d’altronde il
ragazzo mette ordinatamente in pratica gli insegnamenti ricevuti
all’Università (non ci sono sbavature evidenti, dall’impiego
delle musiche alle scelte di montaggio [la scena in aula e quella
dove il bambino gioca con le macchinine sono sequenze in cui si
percepisce uno studio soppesato]), resta però il fatto che svolgendo
solo il tipico compitino da bravo scolaro si allontana, e di
parecchio, la possibilità di fornire un carattere distintivo al
film. Paradossalmente Santa Cruz
del Islote
(2014) pur ostentando l’appartenenza al posto ripreso fin dal
proprio nome, non ne coglie l’essenza limitandosi a registrare la
superficie al punto che, in fondo, potremmo trovarci in una qualunque
altra località ispanica affacciata sull’Oceano. Se a volte chi
scrive ha spesso indicato l’afflato universale come pregio di
un’opera, per il lavoro di Lorentzen le cose stanno nei termini
opposti: disattendendo le premesse il documentarista del Connecticut
ha generalizzato nominalmente una comunità, un crogiuolo illimitato
di storie, stampandola su una locandina da appendere al massimo sulla
vetrina di qualche agenzia turistica.
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