mercoledì 28 ottobre 2020

Leçons de ténèbres

La composizione di Leçons de ténèbres (1999) non si discosta troppo da Rome désolée (1995 – debutto che qui riappare sullo schermo di una sala cortocircuitando ancora di più il discorso generale) e, presumo, da un’intera filmografia provvista di una coerenza autoriale da primissima fascia, e la cosa, perlomeno al sottoscritto, non pesa affatto perché comunque non si tratta di sterile ripetizione, Vincent Dieutre possiede un’idea di cinema a cui non si può non prestare considerazione perché ogni volta ci rammenta quanta ricchezza può nascondersi dietro a delle banali riprese cittadine, e per merito di un sapiente ricamo succede, ad esempio, che un giro in automobile attorno a Piazza del Popolo si trasformi in un immaginifico circolo che mescola temporalmente gli amori, o presunti tali, di una vita. L’autore, per quello che ad oggi ho potuto vedere, è sempre orientato ad esporre una propria versione dei fatti nel campo sentimentale, la sua bravura sta in primis nel non scadere nell’ovvietà e in seconda battuta nell’esprimere una matassa così interna e personale dislocando la direzione delle immagini. Qui, però, c’è un piccolo (ma nemmeno troppo) distacco rispetto al film precedente o al successivo Jaurès (2012), Dieutre infatti decide di entrare nella diegesi autorappresentandosi nonostante la narrazione esterna in terza persona. I risvolti meta fioriscono (basta osservare l’incipit con il regista tramortito da una sorta di sindrome di Stendhal) senza intaccare la nostra pazienza, il che mi ricorda, decisamente a sproposito, che il progetto di Dieutre ha un suo gemello letterario, sono anni che Walter Siti scrive di sé pur non scrivendo di sé.

Leçons de ténèbres è dunque un tragitto emotivo, suddiviso in tre città (Utrecht, Napoli e Roma) e tra due sfuggenti partner (Tadeux e Werner), ma è anche un percorso culturale (e perciò nuovamente emotivo laddove però è l’amore verso l’arte a svettare) che si plasma attraverso gli stupendi dipinti del Caravaggio. Attenzione, ora la faccenda si fa ancora più stimolante: è la visita in un museo, un museo-persona, l’uomo Vincent o qualunque altro uomo o donna che calpesta il pianeta, in tre atti, anonimi tasselli nel mosaico speciale dell’esistenza, in tre padiglioni noi visitatori esploriamo i lembi di un pensiero, le delusioni e le passioni, gli umori e i rimpianti. Gli sfondi nei quadri di Michelangelo Merisi, bituminosi e impeciati, tracimano nella realtà della pellicola dentro all’esteso mood maliconico così come le disarmanti prospettive luminose del pittore attizzano il fuoco della speranza in un nuovo incontro. Personalmente ho solo qualche dubbio quando si sceglie di inserire dei segmenti estranei che ricreano la, per così dire, atmosfera di Caravaggio con il buio attorniante e delle luci ben posizionate ad esaltare l’anatomia dei corpi nudi, sono parentesi estetizzanti che avrei evitato, ma io scribacchio su un blog dimenticato mentre Dieutre fa cinema, e lo fa davvero bene. Ad ogni modo il perdono è subitaneo: d’improvviso si diffonde la voce di Guccini ed una cosa che già è bella diventa emozionante.

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