Questo rimpallo tra Innisfree e The Quiet Man, questo ponte edificato da Guerín, è un passaggio, e quindi un viaggio, che vale assolutamente la pena fare, è la bellezza di un cinema che riflettendo su di sé non si specchia in uno sterile narcisismo ma scava a fondo trovando un ulteriore meccanismo per far progredire una storia che ne contiene altre, alcune vere (la ragazza dai capelli rossi che si muove da un posto all’altro per guadagnare qualche soldo) altre finte, ma la loro natura di verità o finzione potrebbe essere tranquillamente invertita che non cambierebbe niente nell’economia del film. Non avendo visto Un uomo tranquillo sono pressoché sicuro di essermi perso una marea di arricchenti agganci con il lavoro di Ford, però il sesto senso cinefilo mi ha fatto intuire che il dialogo è talmente stretto da trovarci di fronte a delle sovrapposizioni o, forse, delle reinterpretazioni, questo accade in maniera più marcata avvicinandoci al finale, ed è sancito da una splendida scena che ha per protagonista un cappello il quale, magicamente, viaggia nel tempo e nello spazio. Si compie una fusione che scorre sempre sui delicati binari di ciò che è rappresentabile e ciò che non lo è, una combinazione che permette a John Wayne e Maureen O’Hara di incarnasi nelle vesti di due bambini che passeggiano nella stessa strada che a loro volta hanno calpestato davanti alla mdp del regista statunitense. E in un cortocircuitare così potente Guerín si diverte a trovare soluzioni da applausi come l’esporci la sinossi di The Quiet Man per bocca dei timidi bimbetti lentigginosi, oppure ci fa sedere in uno stralcio di realismo dentro ad un pub stracolmo di gente fermentata dall’alcol che intona canti e parla del più e del meno (anche di settima arte), o ancora decreta il salto temporale definitivo con una danza che va dalla musica tradizionale al rock moderno per poi andarsene per sempre da questo coacervo di memorie cinematografiche con una camera-car che sa di malinconia.
Innisfree? Un (per me, ora) classico di un classico, un testacoda che non smette di girare, un movimento centripeto inarrestabile diretto al suo nodo centrale: il cinema.
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