Per il resto The Hunchback possiede una natura quasi episodica che ritengo non vada presa troppo sul serio, forse la mano che più si sente è quella di Abrantes (lo dico senza conoscere Rivers) il quale, per quanto potuto visionare, ama permeare ciò che produce di uno humor stravagante figlio di una tendenza rintracciabile in un certo cinema portoghese post-2000 che ha in Miguel Gomes l’autore di punta. Così assistiamo a scenette tra il buffo e l’inessenziale unite, e ho apprezzato la cosa perché così viene fornita una lieve impronta strutturale, alle testimonianze dei colleghi che attraverso una sorta di interrogatorio anticipano o posticipano gli accadimenti sullo schermo. La domanda che ci si può porre è: tralasciando la seducente eccentricità dell’opera che cosa rimane? La risposta non si prospetta particolarmente consolante, se ci concentriamo un attimo su alcuni degli episodi la relativa fruizione non può reggere nemmeno in un’ottica farsesca (cfr. ancora l’opinione di Settis sul boccaccesco siparietto tra la donna e il gobbo defunto), ma a soccorrerci può giungere quello che è definibile come uno “stile” (parola atroce, lo so), uno sguardo inedito che già in Palácios de Pena (2011) ci aveva saggiato della sua bontà, avrà anche parecchi difetti The Hunchback ma la voglia di approfondire la filmografia di Abrantes non è affatto scemata.
The Son
37 minuti fa
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