La seduzione di Another Trip to the Moon termina a mio avviso quando facciamo ricorso al pregresso spettatoriale che accennavo prima: noi (e non è plurale maiestatico, intendo io che scrivo e tu che leggi) negli anni abbiamo guardato centinaia e centinaia di titoli e col tempo è maturata la consapevolezza che in fondo non abbiamo ancora guardato niente, il cinema da fronteggiare è un magma inarrestabile mentre noi siamo al massimo un manipolo di appassionati soli, però sappiamo riconoscere, o almeno crediamo di saperlo fare, il valore di un film e, ora ritorno al singolare, trovo che il lavoro di Basbeth possegga delle qualità che non definirei inessenziali sebbene non ci si allontana troppo da tale asserzione. Affermare che vi sia un che di “già visto” forse non è corretto, però, nonostante si sia visto dell’altro, diverso, simile o antitetico, alla fine è come se emergesse un sentimento di inopportuna derivazione. Il motivo principale di questa constatazione è legato ad una veduta che si fa eccentrica solo esteriormente, se è innegabile il fiorire di situazioni strampalate non è altrettanto automatica la loro discesa in una auspicata profondità né il condurci ad essa. Non è una questione di superficialità ma di quanto Menuju rembulan si culli su una superficie che risulta inusuale solo se si è dei novellini, magari il film non ha attecchito sul mio sentire (e del resto una discreta dose di soggettività è ineliminabile), ma laddove manca un concreto intervento sulla struttura e laddove le sintassi e le grammatiche non suggeriscono nulla di innovativo (dovremmo stupirci per l’assenza di dialoghi?), io preferisco guardare oltre, con buona pace di uomini-animali, animali-peluche e via discorrendo.
Adagio
1 ora fa
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