La seduzione di Another Trip to the Moon termina a mio avviso quando facciamo ricorso al pregresso spettatoriale che accennavo prima: noi (e non è plurale maiestatico, intendo io che scrivo e tu che leggi) negli anni abbiamo guardato centinaia e centinaia di titoli e col tempo è maturata la consapevolezza che in fondo non abbiamo ancora guardato niente, il cinema da fronteggiare è un magma inarrestabile mentre noi siamo al massimo un manipolo di appassionati soli, però sappiamo riconoscere, o almeno crediamo di saperlo fare, il valore di un film e, ora ritorno al singolare, trovo che il lavoro di Basbeth possegga delle qualità che non definirei inessenziali sebbene non ci si allontana troppo da tale asserzione. Affermare che vi sia un che di “già visto” forse non è corretto, però, nonostante si sia visto dell’altro, diverso, simile o antitetico, alla fine è come se emergesse un sentimento di inopportuna derivazione. Il motivo principale di questa constatazione è legato ad una veduta che si fa eccentrica solo esteriormente, se è innegabile il fiorire di situazioni strampalate non è altrettanto automatica la loro discesa in una auspicata profondità né il condurci ad essa. Non è una questione di superficialità ma di quanto Menuju rembulan si culli su una superficie che risulta inusuale solo se si è dei novellini, magari il film non ha attecchito sul mio sentire (e del resto una discreta dose di soggettività è ineliminabile), ma laddove manca un concreto intervento sulla struttura e laddove le sintassi e le grammatiche non suggeriscono nulla di innovativo (dovremmo stupirci per l’assenza di dialoghi?), io preferisco guardare oltre, con buona pace di uomini-animali, animali-peluche e via discorrendo.
giovedì 22 ottobre 2020
Another Trip to the Moon
Affascinante
sì, ma fino ad un certo punto: quale? Quello che chiama in causa il
nostro bagaglio esperienziale cinematografico, traduco: non si ha né
voglia né tempo di obiettare qualcosa a Menuju rembulan
(2015), l’opera firmata dall’indonesiano Ismail Basbeth, che a
giudicare dalle immagini dei suoi lavori successivi rientrerà nei
ranghi dell’ordinarietà (allora, forse, varrebbe più la pena
recuperare i cortometraggi pre-2015), è completamente calibrata
sull’essenza surreale che la attraversa, sarà banale rimarcarlo ma
il tasso di stranezze sullo schermo è oltremodo elevato e pur avendo
uno schema narrativo percepibile (la storia si rifarebbe ad una
leggenda dell’Indonesia e a leggere i vari plot in giro parrebbe
che la madre-sciamana abbia un conto in sospeso con la ragazza che
sarebbe poi la figlia, ma dalla diegesi ricavare ciò non è così
facile...), la materia che tiene desta l’attenzione si indirizza in
modo netto verso quale astrusità Basbeth metterà in campo. Sicché,
consci del fatto che per noi occidentali l’oriente impresso su
pellicola ha spesso un forte appeal proprio in relazione alla nostra
posizione da “estranei”, assistiamo ad una panoramica
sull’illogico che chi ha potuto visionare sa e che non ripeterò,
personalmente sono tutt’ora incapace di farmi un’opinione
definita a proposito delle bizzarrie sciorinate durante gli ottanta
minuti di proiezione, certe occasioni mi hanno sì e no toccato
mentre altre, vedi la bislacca apparizione dell’UFO, molto meno.
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