
In questi
tempi pandemici fa un certo effetto vedere un film come
L’ordre
(1973), un documento, prima che un documentario, eccezionale per ciò
che mostra, che in realtà è poco, ma grazie ad un opportuno filtro
autoriale che abbatte la parete dell’illustrazione diventa tanto.
Jean-Daniel Pollet, regista intrigante che magari approfondirò nella
prossima esistenza, si reca a Spinalonga, un’isoletta della Grecia
che dal 1904 al 1957 fu utilizzata come lebbrosario, lì dove anche
un giovane Herzog, in una pausa dalle riprese di
Segni di vita
(1968) girò il corto
Ultime parole (1968). Il regista
transalpino, lontano dal fare dei malati materiale d’esibizione,
pone in relazione il villaggio abbandonato dell’isola con un
ospedale vicino ad Atene dove i lebbrosi vennero trasferiti per
continuare la loro vita separata dall’umanità, le immagini di
Pollet percorrono degli spazi che non hanno mai uno sbocco effettivo,
che sia la sbarra di un ingresso, il muro di un poggiolo o anche il
panorama marino che si staglia al di là di una finestra, permane un
senso di occlusione, quasi claustrofobico, nient’altro che il
puntuale riflesso di chi ha vissuto e vive da recluso. È ovvio che
già negli anni ’70 non ci fosse più nulla a Spinalonga, nessun
essere umano mutilato dalla piaga, nessun arto o nessun dito erosi
dal bacillo, però è come se ancora ci fossero,
L’ordre
rientra in quel novero di opere che sanno riesumare i fantasmi del
passato, la seduta spiritica a cui si assiste fa apparire spettri di
una dimensione sconosciuta che però, come dicevo all’inizio, ci
toccano, e non poco, per via del momento storico che stiamo vivendo.
A tal proposito c’è un passaggio notevolissimo dove si sottolinea
la continuità della Malattia, una specie di Virus eterno e
proteiforme che mette e metterà sempre sotto attacco il concetto di
salute.
Il
procedimento narrativo di Pollet è di quelli che intensificano la
visione senza forzare, abbiamo un commento francese in prima persona
che potrebbe essere idealmente di Pollet stesso nel quale però si
infiltra una sorta di testimonianza, di coscienza, come se un’altra
memoria, piena di fertili riflessioni su cosa significhi convivere
con un morbo distruttivo o forse cosa significhi semplicemente vivere
in un mondo che emargina anche quando c’è una cura, si
impossessasse dell’autore, del suo spirito da straniero arrivato in
terra ellenica “solo” per raccontare una storia (e ogni tanto
udiamo anche delle parole femminili...). E poi, in un controcampo
concreto, documentaristico ma fino ad un certo punto, il volto di un
lebbroso in tinta seppiata: la pelle ustionata, gli occhi opachi, la
voce oltretombale, è un ritratto che rimane il suo, davvero di un
altro tempo, che, se lo vogliamo, può essere anche il nostro.
Il vertice de L’ordre è
muto, è una sequenza di sguardi su donne e uomini malandati, soli
alle prese con il proprio male, in un letto, su una poltrona, è qui
che si materializza un parallelo: le stesse donne, gli stessi uomini,
ovviamente diversi, a colori, con la testa dentro a dei caschi e un
tubo infilato nella gola. Il cinema ha un potere evocativo micidiale
che L’ordre, senza
nemmeno averne consapevolezza, ci recapita intatto a distanza di
mezzo secolo.
Non lo conoscevo, ma da come ne parli sembra essere sugli stessi orizzonti del meraviglioso "The House Is Black" di Forough Farrokhzad. Recupero subito.
RispondiEliminaNon ci avevo pensato ma devo dire che il paragone regge.
RispondiEliminaLo trovi su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=E-yLVHzHaAA
Ciao J., siamo ancora qui e ancora vivi a quanto vedo.
Grazie, l'ho visto e mi ha fatto soffrire. Solleva riflessioni sulla malattia di una profondità inaudita. E l'intuizione finale sulla società moderna che continua a restringere il campo della salute umana mi ha fatto rabbrividire, perché è fottutamente vera. Basta pensare anche a come le malattie rare che si scoprono ogni anno sono in vertiginoso aumento, mentre le cure no. E sempre più spesso assistiamo all'abbandono fisico e affettivo delle persone malate.
EliminaEh sì, siamo ancora vivi! Oltre il fondo, ma sempre vivi! ;)
è sempre un piacere leggere le impressioni derivanti da una visione, ormai sono merce rarissima, pochi guardano e ancora meno ne scrivono. Ci sta purtroppo, la vita si mangia i piccoli spazi che a fatica ci ritagliamo in un sol boccone.
EliminaE questo Pollet, comunque, sarebbe da approfondire.