domenica 18 ottobre 2020

L’ordre

In questi tempi pandemici fa un certo effetto vedere un film come L’ordre (1973), un documento, prima che un documentario, eccezionale per ciò che mostra, che in realtà è poco, ma grazie ad un opportuno filtro autoriale che abbatte la parete dell’illustrazione diventa tanto. Jean-Daniel Pollet, regista intrigante che magari approfondirò nella prossima esistenza, si reca a Spinalonga, un’isoletta della Grecia che dal 1904 al 1957 fu utilizzata come lebbrosario, lì dove anche un giovane Herzog, in una pausa dalle riprese di Segni di vita (1968) girò il corto Ultime parole (1968). Il regista transalpino, lontano dal fare dei malati materiale d’esibizione, pone in relazione il villaggio abbandonato dell’isola con un ospedale vicino ad Atene dove i lebbrosi vennero trasferiti per continuare la loro vita separata dall’umanità, le immagini di Pollet percorrono degli spazi che non hanno mai uno sbocco effettivo, che sia la sbarra di un ingresso, il muro di un poggiolo o anche il panorama marino che si staglia al di là di una finestra, permane un senso di occlusione, quasi claustrofobico, nient’altro che il puntuale riflesso di chi ha vissuto e vive da recluso. È ovvio che già negli anni ’70 non ci fosse più nulla a Spinalonga, nessun essere umano mutilato dalla piaga, nessun arto o nessun dito erosi dal bacillo, però è come se ancora ci fossero, L’ordre rientra in quel novero di opere che sanno riesumare i fantasmi del passato, la seduta spiritica a cui si assiste fa apparire spettri di una dimensione sconosciuta che però, come dicevo all’inizio, ci toccano, e non poco, per via del momento storico che stiamo vivendo. A tal proposito c’è un passaggio notevolissimo dove si sottolinea la continuità della Malattia, una specie di Virus eterno e proteiforme che mette e metterà sempre sotto attacco il concetto di salute.

Il procedimento narrativo di Pollet è di quelli che intensificano la visione senza forzare, abbiamo un commento francese in prima persona che potrebbe essere idealmente di Pollet stesso nel quale però si infiltra una sorta di testimonianza, di coscienza, come se un’altra memoria, piena di fertili riflessioni su cosa significhi convivere con un morbo distruttivo o forse cosa significhi semplicemente vivere in un mondo che emargina anche quando c’è una cura, si impossessasse dell’autore, del suo spirito da straniero arrivato in terra ellenica “solo” per raccontare una storia (e ogni tanto udiamo anche delle parole femminili...). E poi, in un controcampo concreto, documentaristico ma fino ad un certo punto, il volto di un lebbroso in tinta seppiata: la pelle ustionata, gli occhi opachi, la voce oltretombale, è un ritratto che rimane il suo, davvero di un altro tempo, che, se lo vogliamo, può essere anche il nostro. Il vertice de L’ordre è muto, è una sequenza di sguardi su donne e uomini malandati, soli alle prese con il proprio male, in un letto, su una poltrona, è qui che si materializza un parallelo: le stesse donne, gli stessi uomini, ovviamente diversi, a colori, con la testa dentro a dei caschi e un tubo infilato nella gola. Il cinema ha un potere evocativo micidiale che L’ordre, senza nemmeno averne consapevolezza, ci recapita intatto a distanza di mezzo secolo.

4 commenti:

  1. Non lo conoscevo, ma da come ne parli sembra essere sugli stessi orizzonti del meraviglioso "The House Is Black" di Forough Farrokhzad. Recupero subito.

    RispondiElimina
  2. Non ci avevo pensato ma devo dire che il paragone regge.
    Lo trovi su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=E-yLVHzHaAA

    Ciao J., siamo ancora qui e ancora vivi a quanto vedo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, l'ho visto e mi ha fatto soffrire. Solleva riflessioni sulla malattia di una profondità inaudita. E l'intuizione finale sulla società moderna che continua a restringere il campo della salute umana mi ha fatto rabbrividire, perché è fottutamente vera. Basta pensare anche a come le malattie rare che si scoprono ogni anno sono in vertiginoso aumento, mentre le cure no. E sempre più spesso assistiamo all'abbandono fisico e affettivo delle persone malate.

      Eh sì, siamo ancora vivi! Oltre il fondo, ma sempre vivi! ;)

      Elimina
    2. è sempre un piacere leggere le impressioni derivanti da una visione, ormai sono merce rarissima, pochi guardano e ancora meno ne scrivono. Ci sta purtroppo, la vita si mangia i piccoli spazi che a fatica ci ritagliamo in un sol boccone.

      E questo Pollet, comunque, sarebbe da approfondire.

      Elimina