Nel ciclo
asiatico del duo João Rui Guerra da Mata & João Pedro Rodrigues
c’è sempre stato un movimento tendente alla ricerca di un
qualcosa, e forse, ora che tale ciclo sembra essere arrivato ad una
conclusione proprio con IEC Long (2015), ricercare, non solo
come azione diegetica (rintracciare una fantomatica figura femminile
in The Last Time I Saw Macao [2012] e Mahjong,
2013), ma anche ed in particolar modo come azione concettuale,
ideologica, come congiunzione adibita a mettere in contatto due mondi
stracolmi di antitesi che per via di sorprendenti circostanze
storiche si sono trovati vicini, appare la meta finale del lungo
percorso iniziato nel 2007 con China, China.
Alla loro maniera i due registi portoghesi si sono regalati un trattato
cinematografico applicato al post-colonialismo, senza fare retorica
né politica ci hanno semplicemente mostrato che cosa è rimasto a
Macao della colonizzazione lusitana e la risposta è questa: non è
rimasto niente, qui non ci sono stati strascichi negli anni a venire,
il portoghese, a parte alcune indicazioni in doppia lingua non ha
certo sostituito il cantonese, il cibo, la religione, le tradizioni,
pressoché nulla di europeo ha attecchito in questo strano Paese di
fronte ad Hong Kong. E Rodrigues insieme al suo socio ha capito da
subito che nel niente
rimasto dall’insediamento dei loro connazionali c’erano ancora
dei vecchi fantasmi impolverati, e li hanno cercati per istituire una
connessione temporale, per dare, anche, una memoria visiva ad un
luogo e ad un’epoca.
IEC Long
è essenzialmente la riduzione
in scala di un congiungimento, il teatro è il cinema: per buona
parte documentaristico, semplice e puro: a Macao, per una qualche
ricorrenza, si sparano dei petardi. Lì, un lì che può essere
ovunque, si materializzano degli spettri, ciò accade grazie ad un
montaggio che pone in sequenza ciò che ora è, ciò che prima era e
viceversa. Il flashback stinto si alterna al colore, a volte vi
dialoga, altre volte lo penetra (la scena dei quattro tizi oltre le
inferriate impegnati
in un gioco che forse è il mahjong ), quel che risulta è che nella fabbrica abbandonata di
fuochi d’artificio IEC Long non c’è più nessuno a parte i
ricordi di una voce ottuagenaria che racconta lentamente, che si
prende lunghe pause riempite dagli ectoplasmi che genera. Ecco il
ponte dei due João, ponte che è anche e soprattutto ricerca (sì),
ricollegare pezzetti smarriti nell’oceano del passato, riabilitare
riprese effettuate da chissà chi di persone che lavoravano nella
fabbrica per farle risorgere nel presente. Al solito il cinema si
dimostra un ottimo medium, e non mi riferisco al lemma latino,
intendo proprio come intermediario tra la morte e la vita, la settima
arte ha il potere di evocare affiancando soltanto un’immagine ad
un’altra, senza bisogno di didascalie. Quelle ci saranno solo alla
fine per spiegare il perché del declino economico legato
all’industria dei fuochi d’artificio, ma sono dettagli superflui,
quello che conta sta prima, anche prima di IEC Long che
non sarà nemmeno il migliore esemplare dei film orientali di JPR e
JRdM ma che, date le
premesse dei titoli passati e data la caratura di chi sta dietro la
mdp, va visto e magari, perché no, anche apprezzato.
Nessun commento:
Posta un commento