domenica 15 marzo 2020

Ultra pulpe

Sempre più spinta, eccentrica ed esagerata, l’arte di Bertrand Mandico, se la si osserva in modo distaccato, è, in ogni sua apparizione, cinema che parla di sé, i suoi film esibiscono impavidi la propria natura che è, ovviamente, fasulla, come del resto è l’essenza stessa del cinema, o, se vogliamo essere più lirici, una natura illusoria, e quindi questo pazzo francese spinge in tale direzione, che è massimalista e al contempo destrutturante, è il mettere in scena i meccanismi che di solito non si vedono ma di cui sappiamo l’esistenza, è, in sostanza, ciò che potrebbe definirsi post-moderno, ammesso che tale definizione, oggi, abbia un senso. E Ultra pulpe (2018) ne è lesemplare programmatico, certo, inevitabilmente lo era anche The Wild Boys (2017), e altrettanto inevitabilmente lo sarà anche, presumo, il prossimo lavoro di Mandico o quello, chessò, di dieci anni fa. La coerenza è di casa qui, al pari di un percorso concettuale e stilistico che trasmigra di opera in opera diffondendo, ogni volta, dei marchi di fabbrica distintivi dove spicca un erotismo deviato che per Mandico non è solo la rappresentazione degli istinti sessuali umani ma la rielaborazione, quasi nostalgica, di tutto quel cinema da bollino rosso al confine col trash del quale il Nostro deve essere stato un fan. Non che, se ci pensiamo, le trovate di Mandico siano particolarmente raffinate, tutt’altro!, è chiaro però che qui, sia in Ultra pulpe che nel resto della filmografia, c’è la piena consapevolezza di ciò che si fa, il dubbio, se non il cattivo gusto, è doppiato dall’estrosa autorialità del regista che sguazza negli escamotage artigianali, negli artifici evidenti e a basso costo.

Che poi il sottoscritto, come già ampiamente ribadito, non si sente per niente vicino a questo modo di vedere il cinema. All’addizione preferisco la sottrazione, l’esasperazione delle varie componenti, dalla recitazione agli scenari, sono aspetti che da molto tempo non fanno più per me. Ultra pulpe è uno show continuo ed imperterrito di quanto appena detto, è una sbocciatura incontrollabile di lacerti cinematografici che appaiano dinanzi ai nostri occhi in vorticosa successione, si tratta di quadri incubici partoriti dall’alter ego di Mandico sullo schermo, schegge di morbosa follia in cui il femmineo prevale, seduce, subisce, si perde su Marte, ritorna dall’aldilà, “storie di donne al crepuscolo” dirà la regista, un tramonto glitteroso, sulfureo, stroboscopico. Ah no, eh sì, sul piano dell’atmosfera, dell’impatto che le immagini così curate, così... strane, producono, degli effetti che rilasciano, effetti pruriginosi, lisergici e un pochino (-ino) gasparnoéiani, non c’è granché da additare se ci si siede al tavolo di Mandico accettando le sue regole, tanto è che, alla fine, pur venendo colti da innumerevoli interrogativi (che cavolo è quella cosa che sembra uscita da uno schizzo di Miyazaki strafatto di acidi che vomita un liquido verde?), con qualche entrata musicale ad hoc unita ad altisonanti linee di dialogo, tutto sembra andare nella direzione voluta, da Mandico, ça va sans dire, il quale ci farà asserire quanto è fuori di capoccia o quanto è bravo o forte o geniale o bislacco o via dicendo, verissimo, per carità, ma attenzione a ciò che comprate, i venditori di fumo sono abilissimi a commerciare il proprio prodotto.

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