Non basta
vedere Solo te puedo mostrar el color
(2014) per capire davvero di cosa tratta, bisogna andare più a fondo
mettendosi alla ricerca di notizie in Rete, solo così il disegno
composto da Fernando Vílchez Rodríguez assume contorni più
comprensibili, e sul fatto che lo spettatore sia praticamente
obbligato a scovare ulteriori informazioni per dare una direzione a
ciò che ha visto io non lo intendo come un difetto, anzi è indice di
almeno due fattori moderatamente positivi: di quanto l’opera sia
priva di indirizzamenti netti e facili da recepire e di quanto la
stessa sia potenzialmente aperta nella sua fruizione ad altri media.
Comunque sia, il secondo cortometraggio del regista peruviano si
distingue per un corpo duplice, anche se non tutto inizialmente è
chiaro, è tuttavia registrabile un appaiamento di immagini che dà da
pensare: una parte è costituita da istantanee di repertorio (come fu
per The Calm, 2011)
mentre l’altra vede un gruppo di filmmaker che con le loro
videocamere riprendono gli ambienti naturali circostanti, si modella
dunque un dialogo tra i due registri che ha un punto di contatto
proprio nell’area geografica presa in esame.
Siamo
nel recondito Perù, in un luogo immerso in una fitta giungla
amazzonica, e ciò che compie Vílchez Rodríguez è una specie di
elegia che attraverso il cinema commemora una tragedia civile
avvenuta nel 2009, il cosiddetto Baguazo. Anzi, più che commemorare
l’autore compie un apprezzato gesto di emersione poiché di tale
sopruso ai danni di una tribù indigena sfociato poi in un vortice di
violenza che ha lasciato dietro di sé trentatre cadaveri non si
sapeva niente, e la metodologia con il quale effettua lo “scavo
archeologico” è piuttosto semplice: mette in rapporto il passato
con il presente senza che vi siano didascalie specifiche atte a
sottolineare né l’una né l’altra dimensione temporale, siamo
noi, grazie ai nostri occhi, che ricuciamo le due (d)istanze; ci sono
due immagini montate consequenzialmente che credo riassumano il senso
del progetto: nella prima vediamo in un video fatto presumibilmente
con un cellulare alcuni corpi stesi sul terreno, nella seconda, più
nitida, più attuale, vediamo solo il
terreno, nel salto cronologico e tecnologico ci sono gli intenti di
Vílchez Rodríguez, illuminare senza schierarsi una porzione di
storia che merita attenzione nobilitandola come esige per mezzo delle
sconfinate qualità insite nella settima arte [1]. Il finale,
“strano” ed enigmatico, mi ha trasportato per un attimo in un
film di Pablo Chavarría Gutiérrez.
_________________
[1]
Un approccio ad una brutta storia sconosciuta simile a quello di
Rodríguez si può ritrovare in Muerte blanca (2014)
di Roberto Collío, forma diversa, sostanza uguale.
me lo cerco...
RispondiEliminahttps://vimeo.com/76282886
RispondiElimina;)