venerdì 31 gennaio 2020

Mangrove

La formazione vegetale a cui si rifà il titolo è la trasposizione narrativa del film stesso, come gli intrecci soffocanti delle mangrovie anche Mangrove (2011) si propone allo spettatore in un progressivo avvitamento che spiralizza passato e presente fino alla possibile rivelazione chiarificatrice, va sottolineato però che il lavoro del duo franco svizzero Frédéric Choffat & Julie Gilbert è nella sostanza meno aggrovigliato di quanto possa apparire inizialmente, l’opera infatti partendo da una base di cinema-verità dotata di riflessi documentaristici ha sì un’andatura scossa da alcuni flashback che contribuiscono ad ammaliare la nostra mente, ma dimostra anche l’impellenza (sempre superflua) di dare un senso più o meno letterale alla vicenda, e quindi dopo delle premesse solleticanti i registi preferiscono incanalare la storia nei canoni della scrittura depotenziando gli elementi a disposizione che non erano affatto male: su tutti la location (dovremmo essere in una zona del Messico abbastanza appartata e poco turistica) che in video è resa bene attraverso il contrasto sempre minaccioso tra l’apertura del mare e i canali paludosi, oltre che, di rimando, l’esserci filmico dei vari esseri umani all’interno del territorio.

Ma quando ci verrà illustrato il perché ed il percome la donna europea appare profondamente tormentata, l’alone misterico che fino a quell’istante era montato silenzioso si affloscia un poco poiché viene dato peso maggiore alla necessità di una spiegazione risolutrice piuttosto che lasciare nella sensibilità di chi osserva una soggettiva soluzione. A discolpa di Choffat e Gilbert si riporta per dovere recensionistico che ad un ripensamento a freddo le cose non sono proprio così nette come lo scioglimento omicida delineerebbe, ad un’attenta revisione alcuni tasselli non paiono incastrarsi perfettamente con la versione del padre che uccide il futuro genero, notiamo, ad esempio, che all’inizio la donna si reca nella foresta per dissotterrare un coltello (come faceva a sapere che era lì?), oppure, in un salto temporale, vediamo la protagonista estrarre – si presume – il medesimo coltello dal corpo del compagno sdraiato sulla sabbia (ma non era stato ferito dal papà nei pressi di una capanna?), insomma i pezzi del puzzle potrebbero non avere una collocazione immediata, il che sconfesserebbe quanto finora ho scritto, tuttavia tento di salvarmi in corner asserendo che in un modo o nell’altro siamo a discutere di questioni sceneggiaturiali, “di chi ha ammazzato chi”, mangrovie o meno le visioni davvero complesse non hanno bisogno di queste decifrazioni investigative.

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