La formazione vegetale a
cui si rifà il titolo è la trasposizione narrativa del film stesso,
come gli intrecci soffocanti delle mangrovie anche Mangrove
(2011) si propone allo spettatore in un progressivo avvitamento che
spiralizza passato e presente fino alla possibile rivelazione
chiarificatrice, va sottolineato però che il lavoro del duo franco
svizzero Frédéric Choffat & Julie Gilbert è nella sostanza
meno aggrovigliato di quanto possa apparire inizialmente, l’opera
infatti partendo da una base di cinema-verità dotata di riflessi
documentaristici ha sì un’andatura scossa da alcuni flashback che
contribuiscono ad ammaliare la nostra mente, ma dimostra anche
l’impellenza (sempre superflua) di dare un senso più o meno
letterale alla vicenda, e quindi dopo delle premesse solleticanti i
registi preferiscono incanalare la storia nei canoni della scrittura
depotenziando gli elementi a disposizione che non erano affatto male:
su tutti la location (dovremmo essere in una zona del Messico
abbastanza appartata e poco turistica) che in video è resa bene
attraverso il contrasto sempre minaccioso tra l’apertura del mare e
i canali paludosi, oltre che, di rimando, l’esserci filmico dei
vari esseri umani all’interno del territorio.
Ma quando ci verrà
illustrato il perché ed il percome la donna europea appare
profondamente tormentata, l’alone misterico che fino a
quell’istante era montato silenzioso si affloscia un poco poiché
viene dato peso maggiore alla necessità di una spiegazione
risolutrice piuttosto che lasciare nella sensibilità di chi osserva
una soggettiva soluzione. A discolpa di Choffat e Gilbert si riporta
per dovere recensionistico che ad un ripensamento a freddo le cose
non sono proprio così nette come lo scioglimento omicida
delineerebbe, ad un’attenta revisione alcuni tasselli non paiono
incastrarsi perfettamente con la versione del padre che uccide il
futuro genero, notiamo, ad esempio, che all’inizio la donna si reca
nella foresta per dissotterrare un coltello (come faceva a sapere che
era lì?), oppure, in un salto temporale, vediamo la protagonista
estrarre – si presume – il medesimo coltello dal corpo del
compagno sdraiato sulla sabbia (ma non era stato ferito dal papà nei
pressi di una capanna?), insomma i pezzi del puzzle potrebbero non
avere una collocazione immediata, il che sconfesserebbe quanto finora
ho scritto, tuttavia tento di salvarmi in corner asserendo che in un
modo o nell’altro siamo a discutere di questioni sceneggiaturiali,
“di chi ha ammazzato chi”, mangrovie o meno le visioni davvero
complesse non hanno bisogno di queste decifrazioni investigative.
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