Lei dice
che c’è una parte dell’anima che può provare piacere senza
comprendere appieno, e che in me è molto grande.
Costituito
da quattro piccoli blocchi visivi speculari, incipit con cielo sereno
+ excipit con un cielo notturno e panormica circolare del ragazzo +
accerchiamento dell’abitazione, Te amo
y morite (2009)
di Jazmín López non ha apparentemente degli agganci evidenti con
il memorabile debutto Leones
(2012), sì forse la presenza della battigia è un nesso accomunabile
però, ripeto, il collegamento che possa far dire “ok, questo è
proprio il preambolo di Leones”
non c’è, tuttavia l’evidenza sopraccitata non ha asilo in un
cinema del genere che trasmette con ben altre modalità rispetto
all’ordinario, sicché, nonostante il tutto non arrivi nemmeno ad
una dozzina di minuti, la percezione elaborata, seppure ridotta in
scala, non diverge troppo dal lungometraggio presentato a Venezia ’12
perché anche qua rimanendo all’oscuro dei fatti principali (c’è
[stata] una storia d’amore?) captiamo al massimo le vibrazioni
propagate da un rigagnolo di ricordi in voce off oltremodo sconnessi
e privi, a quanto risulta, di un costrutto logico. Chi è Sofía?
Non ci è permesso di saperlo, ma, esattamente come se stessimo
leggendo un libro, possiamo immaginarlo attraverso il fiorire
mnestico del protagonista, e la cosa, non so se ne convenite, ha un
gran bel valore.
A
voler addentrarci ancor di più sull’eventualità di un senso, il
titolo (traducibile, a meno di strafalcioni, così: Ti
amo e muoio) ci dà
un’indicazione che potrebbe essere anche raccolta e che vela
luttuosamente il corto. È ipotizzabile che qui si inquadri una Fine
e nel range delle possibilità si oscilla indeterminatamente tra una
conclusione sentimentale (non necessariamente biunivoca, dalle parole
di lui non sembra che lei lo abbia mai preso troppo in
considerazione) ed una esistenziale, non ci sono indizi precisi a
riguardo di un suicidio, è piuttosto un presentimento interiore
legittimato soltanto dalla volta stellata del finale in netto
contrasto con l’apertura. È innegabile che le speculazioni
interpretative nei confronti di un oggetto sfuggente come Te
amo y morite lascino
un’idea di incompiutezza allo spettatore più superficiale,
caratteristica che, penso e spero, non vi appartenga, e allora, con
un altro occhio che rovescia l’assunto, l’indistinto diviene
pregevole qualità, è l’accedere con se stessi, emotivamente e
cognitivamente, nell’opera, al pari dell’opera che si dilata in
noi una volta terminata.
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