A
questo punto possiamo dire di aver scovato un altro alfiere del
cinema estone, dopo Sulev Keedus e Veiko Õunpuu è la volta di
Rainer Sarnet di cui ignoriamo i lavori precedenti (e sulla carta non
sembrano troppo appetitosi) ma non quelli presenti, anzi: quello,
November
(2017), nonostante sia “solo uno” saprà attirarsi – come già
ha fatto – una meritata attenzione dagli appassionati di mezzo
mondo, e chi scrive può affermare che da tempo non si assisteva ad
una manifestazione del genere in grado di appaiare un taglio estetico
di primissimo livello ad un impianto narrativo venato da profonde
faglie dedite al fantastico, probabilmente sarò influenzato dalla
nazione d’appartenenza ma il primo film che viene da associare è
proprio The Temptation of St.Tony (2009)
che divide con November
il responsabile della fotografia, tal Mart Taniel, collaboratore di
Õunpuu fin dal lontano Tühirand
(2006).
Quindi: un racconto che parte dalla carta (vergata da Andrus
Kivirähk) e si sviluppa su una forma-percorso che, banalmente, è un
godimento per gli occhi, e oltre alla brillantezza dei potenti
contrasti bianconeri schiudiamo scrigni di weirditudine (i kratt
švankmajeriani
quanto sono belli?) bilanciati da un filato fiabesco uscito dalla
penna di un Krasznahorkai in vena di romanticismo. Se non si innova,
e Sarnet non lo fa, è ammirevole tentare una variazione sul tema,
cosa che di contro Sarnet fa, del resto di villaggi sperduti in balia
di forze oscure ne abbiamo visti a iosa ed il fatto che November
non
risulti particolarmente derivativo è un ottimo punto a suo favore.
Nei
quasi centoventi minuti di proiezione si profila la rappresentazione
di uno smarrimento umano scalfito nel carbone e nella neve, un approdo riguarda la quasi indifferenza verso Cristo il cui corpo
viene sputato dai villici poco dopo la Comunione per rendere le
pallottole più performanti, ne consegue che il quadro mefistofelico
del regista tende a lasciare gli abitanti del paese in una corrente
occulta dove accadono cose che abbattono il muro del reale, si
avanza, a volte, per frammenti, per episodi, per scene di accumulo
dotate però di un’energia icastica esagerata, il tutto (fantasmi
che tornano dall’aldilà; patti col diavolo; mutazioni animali;
piaghe bibliche; streghe e pozioni) contribuisce a modellare un Mondo
assolutamente credibile nell’incredibilità che propone, il che,
onestamente, mi sembra una grande impresa portata a compimento da
Sarnet e dall’intero staff (menzione obbligatoria all’elettricità
soffusa di Michał Jacaszek). Il tessuto sentimentale si coniuga
all’atmosfera da fine dei giorni con sotterranea speranza, l’unica
dell’opera, impersonificata da Liina, luce che trema nell’atra
notte, e rivolta al coetaneo Hans con l’amore puro e incondizionato
delle favole, tuttavia questa è una fola sui
generis
ed il presentimento che puntuale si avvera è che non ci sarà
possibilità di librarsi nel cielo (d’altronde... “che fiori
pensate di raccogliere a novembre?”), al contrario l’epilogo è
una discesa subacquea (da vedere il parallelo tra la ferita sul costato
di Gesù ed il corpo di Liina che affonda sotto la superficie del
lago) suggellata da un bacio che sa di addio.
November,
in sintesi: siamo nel cinema autoriale e siamo dove la solennità è
una sensazione che si avverte con gli occhi, è un film di e per
sciamani, usa l’alfabeto della vecchia galassia sovietica
aggiornandosi alle traiettorie odierne come fece German nel suo
immane testamento, e pur essendo visivamente impeccabile ama
rimestare la lordura del fango e della merda, ipnotizza degli esseri
umani che sono dei poveri bifolchi, li muove su una scacchiera pagana
piena di zolfo e amuleti, fa poesia, anche, e ulula angosciato nel
gelo della steppa.
fiiiiiigo. sempre torrenti?
RispondiEliminaSì! Ma guarda anche il sito "film per evolvere, lo trovi lì ;)
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