È
sempre appagante imbattersi in film ignorati da buona parte del mondo
che invece un piccolo posto, nel suddetto mondo, lo meriterebbero
anche, se poi il film in questione è, giusto per citare a casaccio
W.S., fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni allora c’è
da allertare il proprio sensore cinefilo, Las
aventuras de Dios (2000)
è infatti uno stralunato oggetto che i vostri radar non dovrebbero
farsi scappare, siamo lontani dall’innovazione (la costante weird
può essere la medesima di un Gorod Zero
[1988] e di altre equipollenti affermazioni) ma vicini ad
un’intrapredenza capace
di vivificare il tutto. È una visione di fuga, interna – per il
protagonista – ed esterna – per noi –, che converge nella
necessità di allontanarsi dai dati concreti, dalla vita ordinaria,
dal solito cinema. Ma proviamo a seguire i fatti: un uomo emerge
dalle acque e si ritrova in un hotel dove la hall straripa di valigie
e dove dietro ad una porta si nasconde il mare invece che una normale
stanza, sembra Magritte, è Cristóbal Toral, artista andaluso che il
regista Eliseo Subiela (1944 – 2016) ha usato come fonte di
ispirazione (googlate il nome di Toral, la griglia di immagini che
comparirà è un puzzle che si confonde con le istantanee della
pellicola), ne consegue che il taglio pittorico incamera un surrealismo che minuto
dopo minuto lievita in un folle microcosmo di eventi e situazioni non
leggibili da una lente razionale. Ritengo che in fondo non sia una
questione di comprensione ma di sense
of wonder calibrato
sul cinema d’essai, Subiela, al pari degli altri colleghi che
trattano l’irreale e derivati, stupisce perché traduce con estro
delle materie estremamente complesse.
È
un procedimento ascrivibile anche a taluni esemplari animati o ai
videoclip musicali che impattano nell’occhio e nella mente, in una
scena di Las aventuras de Dios i
ricordi scorrono dentro le pupille dell’uomo e sono viste con
meraviglia (la stessa nostra) da Valeri, in un’altra scena
egualmente apprezzabile la portata mnemonica è situata in uno
specchio che non ha facoltà riflettenti bensì svalicanti, come uno
schermo che permette di vedere un’ulteriore dimensione spaziale (il
matrimonio gli appartiene, in un altrove). Sono passaggi che
rivestono concetti basici in modo diverso, sorprendente, prodigioso,
pensiamo, ancora, all’idea che Valeri si autofecondi ogni volta che
prova delle emozioni, ascoltare Mozart o sentire il vento che porta
un profumo la fa partorire, sentire
come generare, dare alla luce, alla vita. Mi pare una cosa molto
bella. C’è poi comunque una linea di racconto portata avanti tra
incursioni oniriche e ardite capriole (un ospite non da poco
nell’hotel è Gesù Cristo che presiede una specie di lotteria...
fatale) in cui è perfino possibile ricostruire un disegno generale
che in fin dei conti risulta più semplice del previsto, Subiela una
grossa mano ce la dà mettendo in contrapposizione due vedute
cromaticamente opposte, tale confronto è la parte del film meno
riuscita se così si può dire perché la relativa lettura si fa
immediata: nel biancoenero di un’esistenza comune, in una casa
anonima abitata da moglie e creatura frignante, ci si immagina un
affascinante mondo a colori al di fuori della finestra.
Quel
mondo, però, affascinante lo è per davvero e compensa l’agevole
antitesi illustrata, talmente attraente nel suo cortocircuitare
(spazio e tempo, ma dove andate?), nello sbracare in un magnetico
nonsense (Valeri nuda, avvolta in un sudario da dove sbucano delle
mani che la palpeggiano, oppure sempre delle mani [senza corpo]
portate dalle onde che si aggrappano alla battigia), nel tangere alla
lontana istanze thriller (l’“indagine” per scoprire chi è il
Sognatore e i susseguenti omicidi), che è difficile da abbandonare,
e infatti nella trasfusione del finale (una trasfusione solo mentale?
Probabile) le parole della donna sono un suggello, in fuga dai due
bruti (condizione di realtà) lei dice: “non ti preoccupare, non
riusciranno a prenderci!”. Las
aventuras de Dios,
un film narrativo d’inizio millennio, dimenticato e destinato
all’oblio, è, appunto, una fuga. Alzate il pollice a bordo strada
quando vedrete passare una macchina bianca.
ho visto diversi film di Eliseo Subiela, e mi sono piaciuti ogni volta.
RispondiEliminadice Eliseo:
Ho avuto alcuni maestri virtuali molto prima che si inventasse la realtà virtuale. E altri reali.
Fra i primi ricordo uno che mi ha insegnato ad amare le ragazze che andavano in bici con la gonna al vento. Si chiamava Francois (1).
Un altro maestro che ho avuto mi ha insegnato la tenerezza delle donne con le tette grandi e quella dei pagliacci brutti. Lo chiamavano Federico (2).
Ho avuto un altro maestro di nome Ingmar (3) che mi ha insegnato a giocare a scacchi con la morte.
Da Jean-Luc (4) ho imparato a fumare sigarette specchiandomi negli occhi di una puttana.
Andrei (5) mi ha insegnato silenzi tanto profondi che permettevano di ascoltare l'anima.
Fra i "reali" ho avuto un maestro che mi ha insegnato che filmare è una necessità tanto naturale come mangiare o fare l'amore. Lo chiamavano Lucas. (6)
Ce n'è stato un altro chiamato Leonardo (7) che mi ha insegnato che in una scena niente è più sicuro che chiedere al cuore che obiettivo usare.
1-Francoise Truffaut
2-Federico Fellini
3-Jean-Luc Godard
4-Ingmar Bergman
5-Andrei Tarcovski
6-Lucas Demare
7-Leonardo Favio
(dal sito di Eliseo Subiela)
Grazie per la citazione Ismaele, molto bella. Limitandomi al film sotto esame perché non ho visto altro di Subiela, devo dire che ci possono stare dei riferimenti ad altri suoi colleghi, ma permane comunque una cifra personale che si staglia netta.
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