In una
valigia ereditata dai nonni trovai un biglietto ingiallito che
diceva: “ti amo perché sei come una farfalla, inconsapevole della sua bellezza”. Mia madre pensava che: quella non è la scrittura né
di mio papà né di mia mamma. E poi una valigia? A che serviva se
non hanno mai viaggiato in vita loro? Però che bella che era! Un
pezzo d’antiquariato in pelle marrone chiaro, sotto il palmo della
mano potevi sentire gli intarsi accennati del cuoio, una grossa cinghia la
schiudeva per mostrare gli eleganti interni scozzesi, una lunga
tasca orizzontale tagliava a metà il coperchio interno proprio dove avevo
ritrovato il bigliettino. Poi ho conosciuto una ragazza, sono partito, lontano, quando sono tornato alcuni operai stavano
svuotando la casa dei miei genitori: quanto tempo era passato?
Abbastanza da dimenticare la valigia. Diventai padre. Ascoltai questo
brano con mia figlia che dormiva addosso a me, una polpetta di carne e ossa,
il respiro, la protezione, un guscio, la necessità di esserci. Con
la mia compagna finì poco dopo. Andai a vivere in affitto, ci
dividemmo equamente l’essere genitori, il calendario decideva quando
ero padre e quando un puttaniere alcolizzato. Lo specchio, invece,
segnava lo scorrere degli anni su un volto che non era più quello
stampato sul passaporto. Diventai nonno. Una domenica venni invitato
a cena da mio genero e mi presentai con una bella valigia di pelle sotto il
braccio. E quella da dove spunta pa’? Baciai sia lei che la piccola
sulla fronte e. C’è una valigia con dentro un biglietto che
attraversa il tempo e. E questo è quanto.
mercoledì 13 giugno 2018
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