venerdì 2 febbraio 2018

The Whispering Star

ALL’ANTI-SONO

Il 2015 di Sion Sono, annus mirabilis che i fatti hanno tramutato in annus horribilis, riserva un colpo di coda che è, per rimanere nel mood del titolo, un gradevole luccichio di cui, in tutta onestà, avevamo ampiamente perso le speranze, ed invece si può asserire con una compostezza figlia delle precedenti visioni che hanno fatto rivalutare di molto il giapponese a chi scrive, che Sono è finalmente tornato a proporre un cinema sopra il livello della decenza, e meno male!, la serie infinita di titolacci che nell’ultimo lustro portavano la sua firma non prometteva niente di buono per il futuro (The Land of Hope [2012]?, Shinjuku Swan [2015]? … si salvi chi può!), e continuano a farlo visto che Sion non accenna ad una pausa e prosegue indefessamente a sfornare pellicole a nastro seminando pesanti dubbi sulla qualità delle stesse, ma Hiso hiso boshi (2015) è comunque un’inaspettata risposta ai detrattori dell’ultimo periodo (che mi vedono in primissima fila) e, soprattutto, un esempio di come anche un autore che si aggira intorno alla cinquantesima opera possa ancora scovare nuovi canali di trasmissione compiendo dei passi oltre il proprio seminato.

Che Sono fosse un tipo eclettico è un dato ampiamente assodato, e dopo aver attraversato i generi più disparati, sovente anche all’interno di un singolo film, ciò che gli mancava era una liaison con la fantascienza, attenzione: il terrore della pre-visione paventava di quanto tutto potesse pericolosamente sbracare in una delle carnevalate a cui ci ha abituato, ma la paura lascia il posto all’ammirazione già dopo pochi minuti che ci restituiscono un Sono incredibilmente misurato e trattenuto, una novità quasi assoluta nello sterminato portfolio dell’autore, “quasi” perché parecchi anni prima aveva dato alla luce il noir The Room (1993), altro asciuttissimo oggetto in bianco e nero (ma il b/n di The Whispering Star possiede altri contasti per tendere al seppiato d’antan). Qui Sono operando di sottrazione fa le cose semplici, che risultano più credibili di qualunque ricostruzione iper-tecnologica, l’astronave ed il mondo spaziale, ad esempio, ricordano molto l’artigianalità low cost dell’americano Cory McAbee col dittico The American Astronaut (2001) / Stingray Sam (2009), e il sapore retrò contribuisce a montare uno stato nostalgico barra malinconico che si diffonde sottile nel girato, ciò si deve anche ad un’impostazione narrativa che dilatandosi ludicamente (il tempo passa eppure non passa mai per l’androide protagonista) lascia Yoko sempre più sola in una bolla lontana, e si sente, si tocca con gli organi invisibili della percezione, ed è semplicemente così: bello. E che questo sia un Sion Sono realmente diverso ce lo ricorda anche il registro attoriale (di solito costituito da una pletora di saltimbanchi pronti ad urlare come pazzi ad ogni momento buono) dove regna un piacevole contegno, e assistere a dialoghi sussurrati, a gesti minimi, a fugaci e delicate interazioni spiazza e al contempo scalda il muscolo sotto il nostro pettorale sinistro.

L’avrete ormai capito: non si era mai visto un Sono così! E l’aspetto buffo è che per ritrovare se stesso, o forse un altro se stesso, è dovuto andare al suo opposto, all’anti-Sono, e la cosa dovrebbe farlo riflettere così come dovrebbe far riflettere noi spettatori: perché uno dei vertici della produzione sononiana è l’antitesi della sua riconosciuta poetica? Forse perché sebbene sotto altre vesti i film del regista non hanno mai mancato di porre un’attenzione speciale al substrato umano (Love Exposure [2008] si chiude con una salvifica stretta di mano, Himizu [2011] è un lacerante corpo a corpo metaforico tra uomo e ambiente), con The Whispering Star la potatura di ogni eccesso permette la sbocciatura di un alito poetico che si dispiega grazie ad un sacco di trovate (mi è piaciuto moltissimo il parallelo suggerito tra l’insetto rinchiuso nel neon-universo e Yoko ingabbiata nella metodicità di una realtà eterna) che aprono letteralmente Hiso hiso boshi ad un senso profondo in linea con il cinema dei grandi maestri orientali del passato e del presente e che ha nella figura del corriere intergalattico che trasporta piccoli pezzi di vita alle persone (reduci, si dice, dal disastro di Fukushima, al pari dei “pianeti” visitati) un picco di dolcezza, una cuccia in cui raggomitolarsi felici.

Indubbiamente il miglior Sono del 2015 e probabilmente uno dei migliori di sempre.

1 commento: