venerdì 16 febbraio 2018

The Angel

Non c’è alcun limite al dramma in questo film norvegese del 2009 diretto da Margreth Olin: Lea, la protagonista (è Maria Bonnevie già vista in Dag och natt, 2004), perde il padre per una brutta malattia, la madre trova successivamente un compagno che si rivelerà un ubriacone ed un violento, passano gli anni e Lea incontra Henrik, eroinomane che la porterà sulla sua stessa strada, con il quale fa una figlia, ma per tirare avanti inizia a prostituirsi in strada. Il tragico vortice che risucchia ogni personaggio sullo schermo è il monolite col quale noi spettatori dobbiamo raffrontarci, non c’è speranza (alla fine c’è comunque, e non a caso Engelen era stato proposto per accedere agli Oscar nella categoria foreign), non c’è futuro, la lezione è sempre la stessa: le colpe dei genitori ricadono sui figli. Ma: la spirale rabbuiante oltre ad essere nodo centrale è anche problema non sottovalutabile, perché se vogliamo un cinema romanzato allora la proposta della Olin è passabile, noi tutti però siamo ormai su un altro piano di fruizione e cotanta ostensione drammatica incentrata esclusivamente nel reparto del racconto non sortisce effetti tangibili.

Il degrado morale di Lea e l’abisso che si spalanca sotto i suoi piedi fanno della visione di The Angel una sequenza di inumane atrocità che non sanno scendere sotto la superficie della scrittura. La percezione generale è quella di un’opera comunque già vista poiché il cinema mainstream e non pullula di storie giovanili con problemi simili a quelli che deve affrontare la ragazza, fare un film del genere negli anni zero significa non avere ben chiari i contorni della vera settima arte che è lontanissima dalle grammatiche qui utilizzate. Ritengo salvabile la tendenza ad assumere un andamento piuttosto blando che esprime un garbo direi europeo, sicuramente più dignitoso degli show hollywoodiani, ed anche la scelta di insertare qualche flashback del passato movimenta un po’ il fluire delle cose, anche se poi, tenuto conto di una conclusione non meno balbettante di quanto è preceduto, la perplessità è la sensazione che prevale una volta arrivati ai titoli di coda.

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