Non c’è alcun limite al dramma in
questo film norvegese del 2009 diretto da Margreth Olin: Lea, la
protagonista (è Maria Bonnevie già vista in Dag och natt,
2004), perde il padre per una brutta malattia, la madre trova
successivamente un compagno che si rivelerà un ubriacone ed un
violento, passano gli anni e Lea incontra Henrik, eroinomane che la
porterà sulla sua stessa strada, con il quale fa una figlia, ma per
tirare avanti inizia a prostituirsi in strada. Il tragico vortice che
risucchia ogni personaggio sullo schermo è il monolite col quale noi
spettatori dobbiamo raffrontarci, non c’è speranza (alla fine c’è
comunque, e non a caso Engelen era stato proposto per
accedere agli Oscar nella categoria foreign), non c’è
futuro, la lezione è sempre la stessa: le colpe dei genitori
ricadono sui figli. Ma: la spirale rabbuiante oltre ad essere nodo
centrale è anche problema non sottovalutabile, perché se vogliamo
un cinema romanzato allora la proposta della Olin è passabile, noi
tutti però siamo ormai su un altro piano di fruizione e cotanta
ostensione drammatica incentrata esclusivamente nel reparto del
racconto non sortisce effetti tangibili.
Il degrado morale di Lea e l’abisso
che si spalanca sotto i suoi piedi fanno della visione di The
Angel una sequenza di inumane atrocità che non sanno scendere
sotto la superficie della scrittura. La percezione generale è quella
di un’opera comunque già vista poiché il cinema mainstream e non
pullula di storie giovanili con problemi simili a quelli che deve
affrontare la ragazza, fare un film del genere negli anni zero
significa non avere ben chiari i contorni della vera settima arte che
è lontanissima dalle grammatiche qui utilizzate. Ritengo salvabile
la tendenza ad assumere un andamento piuttosto blando che esprime un
garbo direi europeo, sicuramente più dignitoso degli show
hollywoodiani, ed anche la scelta di insertare qualche flashback del
passato movimenta un po’ il fluire delle cose, anche se poi, tenuto
conto di una conclusione non meno balbettante di quanto è preceduto,
la perplessità è la sensazione che prevale una volta arrivati ai
titoli di coda.
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