Una ragazza litiga con il
fidanzato e si infila nella macchina di uno sconosciuto, cosa
succederà?
Ovviamente quanto di più
pronosticabile ci possa essere, e nel tentativo di dribblare la
facile quanto inevitabile predizione il (al tempo del corto) regista-studente Piotr
Sułkowski ci rende partecipi di un parallelo passato/presente che attraverso flashback cromaticamente più caldi costruisce uno specchio tra il pesce (Miruna è appunto il nome di
una specie di pesci) e il suo gemello antropomorfo al quale è
riservato lo stesso destino ittico. Oltre a questa ludica
identificazione Miruna (2012) non ha proprio nient’altro da
offrire, e pur seguendo i connotati del thriller, e quindi tentativo
di edificare una gabbia tensiogena designando, ma senza dare troppe
certezze, la vittima ed il carnefice, non è con una
declinazione del genere che è possibile destare interesse. Brandelli d’ambiente
esterno, un dettaglio di un occhio in cui si dilata una sostanza, la
scena madre non del tutto esibita e posta in parte fuori campo
tramite un movimento svelatore, queste le briciole che Miruna
elemosina. Più che altro se il sottoscritto fosse un essere umano
impegnato ad esprimersi con l’arte narrativa e avesse lo
schiribizzo di sottoporre le proprie idee al pubblico, non si
infognerebbe mai nella rappresentazione di un assassinio con dei
presupposti così banali e così votati ad incanalarsi in strade già
strapercorse, ed anche la mossa di ispessire la vicenda con i
rimandi all’infanzia del protagonista o l’accenno di possibile
umanità che passa rapido con un tentativo di bacio, sono quisquilie
che non entrano nemmeno dalla porta secondaria del cinema vedibile.
Bah, robetta.
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