lunedì 12 febbraio 2018

Miruna

Una ragazza litiga con il fidanzato e si infila nella macchina di uno sconosciuto, cosa succederà?

Ovviamente quanto di più pronosticabile ci possa essere, e nel tentativo di dribblare la facile quanto inevitabile predizione il (al tempo del corto) regista-studente Piotr Sułkowski ci rende partecipi di un parallelo passato/presente che attraverso flashback cromaticamente più caldi costruisce uno specchio tra il pesce (Miruna è appunto il nome di una specie di pesci) e il suo gemello antropomorfo al quale è riservato lo stesso destino ittico. Oltre a questa ludica identificazione Miruna (2012) non ha proprio nient’altro da offrire, e pur seguendo i connotati del thriller, e quindi tentativo di edificare una gabbia tensiogena designando, ma senza dare troppe certezze, la vittima ed il carnefice, non è con una declinazione del genere che è possibile destare interesse. Brandelli d’ambiente esterno, un dettaglio di un occhio in cui si dilata una sostanza, la scena madre non del tutto esibita e posta in parte fuori campo tramite un movimento svelatore, queste le briciole che Miruna elemosina. Più che altro se il sottoscritto fosse un essere umano impegnato ad esprimersi con l’arte narrativa e avesse lo schiribizzo di sottoporre le proprie idee al pubblico, non si infognerebbe mai nella rappresentazione di un assassinio con dei presupposti così banali e così votati ad incanalarsi in strade già strapercorse, ed anche la mossa di ispessire la vicenda con i rimandi all’infanzia del protagonista o l’accenno di possibile umanità che passa rapido con un tentativo di bacio, sono quisquilie che non entrano nemmeno dalla porta secondaria del cinema vedibile. Bah, robetta.

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