Una storia d’amore
tra gli uomini e gli oggetti, così recita il sottotitolo di
Metrobranding (2010), piccola operazione rumena ideata da due
giovani laureati all’università d’arte cinematografica di
Bucarest: Ana Vlad e Adi Voicu per tre anni (dal 2007 al 2010) hanno
infatti girato la Romania sulle tracce di quelle città che sotto il
comunismo ospitavano grossi centri produttivi, e raccogliendo le
testimonianze delle persone che vi lavoravano sono riusciti ad
estrapolare un sentimento che è proprio delle storie d’amore
(finite): la nostalgia. La carrellata proposta dal duo ritrae
individui comuni rispolverare vecchi oggetti tenuti in casa (e il
documentario nasce proprio così: Vlad & Voicu, due ragazzi che
seppur presenti non hanno vissuto gli anni precedenti al 1989,
nell’incappare in brand per loro sconosciuti hanno voluto ricreare
un particolare ponte con il passato) attraverso i quali è possibile
compiere un’ennesima analisi sociale sulla Romania. La macchina da
cucire Ileana, la bicicletta Pegas e le scarpe da tennis prodotte a
Dragasani, sono tutti reperti archeologici provenienti da un’altra
era, simboli di un immaginario che si è disgregato lasciando
soltanto il ricordo di ciò che è stato. Chiuse le fabbriche (o
ricalibrate in un settore evidentemente più redditizio: dalle
cucitrici meccaniche ai fucili), persi gli operai, volatilizzato
l’ideale di un benessere, rimane l’interrogante presenza dei
manufatti intatti e ad oggi ancora funzionanti.
Messa così sembrerebbe che Metrobranding strizzi l’occhio ad una
malinconia che parafrasandoci potrebbe dire “ah quando c’era
Ceaușescu…”, in realtà il
film si chiude con la seguente frase proferita da un ex manager di
una ditta di lampadine: “all’epoca di Ceaușescu abbiamo usato
più candele che ai tempi dei nostri genitori. I giornali, in quel
periodo, ci facevano credere che vivevamo in una situazione ideale. E
noi credevamo che quelli fossero anni luminosi.” Dunque, facendo
fede al proprio animo indagatore, l’opera di Vlad & Voicu vuole
sì rispolverare un lato marginale degli effetti prodotti
dall’aberrante politica del dittatore, ma soprattutto si impegna in
un’azione che forse nessun altro esemplare rumeno si è impegnato a
fare: ci mostra il dopo, non meno preoccupante del prima.
Metrobranding
compie un passo importante verso tale direzione perché mette alla
berlina l’establishment successivo a quel famoso 25 dicembre, e
quanto emerge è una classe politica che non ha saputo adattare il
sistema produttivo interno alle dinamiche del capitalismo impoverendo
ulteriormente la nazione. Un documentario che non ci riguarda
direttamente, no, ma se vogliamo parlare di Europa credo sia utile
conoscere la storia recente dei nostri vicini di casa, potrebbe
essere un buon antidoto per l’ottuso razzismo.
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