giovedì 22 febbraio 2018

Antiporno

Dopo un 2015 tanto prolifico quanto dimenticabile (con l’eccezione The Whispering Star), Sion Sono batte un colpo che ricorda, in primis a se stesso, di come sia ancora un regista vivo con idee intriganti e con la relativa voglia di metterle in pratica attraverso rotture, eruzioni e sana boria. Anchiporuno (2016), rimasticatura in chiave moderna (magari post? Ma sì, intanto “postmoderno” non guasta mai) del pinku eiga, genere dal quale Sono, come i più attenti ricorderanno, aveva già attinto con Seigi no tatsujin: Nyotai tsubo saguri (2000), è un’opera in cui si può carpire del potenziale, è evidente, nonostante il clima altamente instabile in cui versa la storia, che vi siano differenti strati sottotestuali e non importa poi tanto se, alla fine, si ha la sensazione di non giungere ad una conclusione definita, di certo è meglio poter accedere in un labirinto di specchi che in una delle tante baracconate in stile yakuza movie che hanno imbottito il suo più recente curriculum (vedi Shinjuku Swan, 2015). Un approdo direzionante è fornito dal titolo: perché quel prefisso che oppone? Perché ostentare una posizione “contraria” alla pornografia? Probabilmente il succo del film risiede nella risposta a tali quesiti ma la risoluzione non può essere univoca, non ce la si fa!, il furore di un tempo riaffiora adesso con maggiore misura e controllo (minore è la violenza esplicita, superiore è l’anarchia narrativa) ma sempre di un urto si tratta: veniamo colpiti da un fare sregolato con la Donna in quanto Stella e una serie di Satelliti che le orbitano attorno e che Sono mette a raffica sul palcoscenico mischiando piani e annesse percezioni. È sempre la vecchia lezione: se giunti al traguardo a generarsi sono più le domande che le risposte allora siamo nel posto giusto.

Un posto che, dal punto di vista diegetico, dà, forse per la prima volta, una solida credibilità anche al comparto scenografico e alla capacità di sapersi muovere in uno spazio fisico che, banalmente, è anche psichico. Indubbio che in tutte le recensioni scritte o da scrivere su Antiporno sbucherà quella parolina palindroma di tre lettere che fa così: pop. È un po’ inevitabile, la cromatura sgargiante del loft e alcuni graffianti inserti estetizzano il girato rimandando a canoni visivi assimilabili alla vaga etichetta summenzionata. Ce ne stiamo sottolineando però che in passato con Keiko desu kedo (1997) erano già stati interrati dei semi portatori di geometrie e tinte ad alto impatto ottico (e poi qui la protagonista si chiede proprio all’inizio se sia il suo compleanno o meno...). Con Antiporno Sion tange l’esasperazione all’incirca in ogni settore che va a sfruculiare, e quello della patina esterna risalta in modo evidente solo perché è la prima cosa che si coglie, può non piacere, e chi scrive non è propriamente un fan accanito di tanto artificio, ma se ne riconosce lo stile d’alto livello e l’audacia di proporlo e riproporlo fino ad un allontanamento siderale da qualunque pretesa realista. Un aggancio quasi politico è invece dato dall’insistere ogni due battute sulla condizione femminile nella società giapponese, si profila dunque la medesima osservazione fatta sulla forma: Sono persevera in una sorta di apologia femminea, tuttavia il rischio di impartirci una morale indesiderata è mitigato dai continui ribaltamenti scenici che ravvivano la possibile catechesi. Se poi l’ennesima sortita nel mondo autoriflessivo che aveva già detto abbastanza con Why Don’t You Play in Hell? (2013) non risulta troppo derivativa per merito di un ritmo incalzante e di una fusione insondabile tra reale, finzione, passato, presente e sogno, allora ’sta volta Sono è davvero riuscito a riacciuffare quegli improbabili equilibri che caratterizzavano il suo cinema d’assalto.

Nel tirare le fila vale la pena ritornare sulla negazione del titolo. Nell’omaggio al genere softcore Sono dimostra un’ironia ammirevole, nel suo film vi è ben poco di pruriginoso nonostante le continue nudità e i dialoghi stupidi e sboccati, la morbosità appiccicata come un adesivo attira-attenzione devia dalla vera traiettoria del film, ma non per molto, l’imbuto nel quale prima o poi si entra divelge l’atmosfera dissoluta per calarsi in una profondità ben più fertile. Ecco dove potrebbe situarsi l’anti: non vi è alcuna penetrazione fisica qui ma solo mentale, l’atto sessuale non si compie perché la Donna non è un contenitore ricevi-cazzo bensì un universo spaventoso e affascinante che ribolle di paure e ossessioni.

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