Può un film essere avvincente, formalmente solido e significativamente pregno raccontando il lento sgretolarsi dei tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico prossimo alla rovina attraverso un unico sguardo, un’unica fonte di conoscenza visiva e non? La risposta è positiva, può, e Simon Staho ce lo dimostra.
Dag och natt (2004, il titolo internazionale sarebbe Day and Night ma siccome non è stato distribuito in alcun paese anglofono ho lasciato quello originale) è un film che rafforza la mia idea di cinema, ovvero che la storia, qualunque essa sia, acquista più o meno valore a seconda di come viene raccontata.
L’assunto da cui la pellicola si dipana è decisamente usurato: un uomo di nome Thomas (Mikael Persbrandt), padre degenere, marito alcolizzato, fratello aberrante e figlio menefreghista, prima di partire per New York (ma la meta del viaggio è un’altra) decide di dire addio alle persone che per forza di cose hanno ruotato intorno alla sua vita.
Fin qui nulla da dire, se non fosse che tutto (TUTTO!) il film è ambientato all’interno di un’automobile dove le immagini riprese da due camere posizionate sul cruscotto, e puntate verso i due sedili, sono state montate ad arte dando vita ad un scorrevolissimo fiume di parole lungo un’ora e mezza curato oltre che dallo stesso Staho, anche da Peter Asmussen collaboratore di Von Trier ne Le onde del destino (1996) e nel fondamentale Daisy Diamond (2007).
Addentrandoci nella domanda posta all’inizio, ecco che ne sorge un’altra: come è possibile che uno sguardo unidirezionale come quello proposto dal regista danese risulti così efficace nel mostrare la pluralità dell’uomo Thomas (è padre ma anche figlio, è marito ma anche fratello) ad un passo dalla distruzione? Cioè, come accidenti è possibile che senza sapere, e soprattutto vedere, nulla del suo mondo di cartapesta non solo accettiamo il suo status di aspirante suicida ma veniamo risucchiati nei pessimi rapporti col figlio – gli uccide il canarino e ammette di non aver mai voluto essere padre –, nell’amore sciatto con la sua donna – l’amplesso in piedi fuori dalla macchina è pregevole –, nella conversazione con l’ex moglie – nostalgico dialogo del passato –, nelle rivelazioni con la sorella – anche l’incesto si incastra perfettamente nel distruttivo quadro del film –, nell’incontro con la madre malata – una spiaggia, la donna bendata quasi fuori campo e lui con una pistola puntata alla tempia –, nel vacuo contatto con una prostituta – la sua inettitudine si evidenzia qui come non mai –, negli ultimi minuti del film – la pioggia e il sedile del passeggero vuoto – come si diventa, dunque, realmente partecipi di un’opera che da una parte ha poco a che vedere col cinema ma che al contempo ne forgia una nuova declinazione?
Onestamente non lo so, però è successo e ne sono felice.
Quello che invece so è che il cinema di Staho si sta profilando come un Cinema del Dolore, cattivo, duro, senza pietà alcuna verso lo spettatore, e compatto, compattissimo, nella sua struttura.
Ci sono molti film che ripercorrono la vita di un uomo che sta per morire, come ci sono stati altrettanti modi usati per descrivere ciò, Dag och natt è una gelida ventata di novità che credo non abbia eguali. Se è vero che prima di morire si rivede la propria esistenza come in un film, bene, questo è un film che assembla gli ultimi pezzetti di una vita poco prima che essa abbia fine, e lo fa con una grossa premessa anticipatrice che comunque non inficia minimante nella sua fruizione. Già, perché inizia così:
Per la maggior parte delle persone martedì 9 settembre 2003 era un giorno come gli altri. Tuttavia per una persona questo giorno era speciale, proprio in questo giorno il quarantenne Thomas Ekman, un rispettato architetto e uomo di famiglia si sparerà un colpo in testa alle 8 e 03 usando una pistola Walther GSP comprata per tale scopo.
L’anno successivo Staho firmerà il film-fotocopia Bang Bang Orangutang.
Dag och natt (2004, il titolo internazionale sarebbe Day and Night ma siccome non è stato distribuito in alcun paese anglofono ho lasciato quello originale) è un film che rafforza la mia idea di cinema, ovvero che la storia, qualunque essa sia, acquista più o meno valore a seconda di come viene raccontata.
L’assunto da cui la pellicola si dipana è decisamente usurato: un uomo di nome Thomas (Mikael Persbrandt), padre degenere, marito alcolizzato, fratello aberrante e figlio menefreghista, prima di partire per New York (ma la meta del viaggio è un’altra) decide di dire addio alle persone che per forza di cose hanno ruotato intorno alla sua vita.
Fin qui nulla da dire, se non fosse che tutto (TUTTO!) il film è ambientato all’interno di un’automobile dove le immagini riprese da due camere posizionate sul cruscotto, e puntate verso i due sedili, sono state montate ad arte dando vita ad un scorrevolissimo fiume di parole lungo un’ora e mezza curato oltre che dallo stesso Staho, anche da Peter Asmussen collaboratore di Von Trier ne Le onde del destino (1996) e nel fondamentale Daisy Diamond (2007).
Addentrandoci nella domanda posta all’inizio, ecco che ne sorge un’altra: come è possibile che uno sguardo unidirezionale come quello proposto dal regista danese risulti così efficace nel mostrare la pluralità dell’uomo Thomas (è padre ma anche figlio, è marito ma anche fratello) ad un passo dalla distruzione? Cioè, come accidenti è possibile che senza sapere, e soprattutto vedere, nulla del suo mondo di cartapesta non solo accettiamo il suo status di aspirante suicida ma veniamo risucchiati nei pessimi rapporti col figlio – gli uccide il canarino e ammette di non aver mai voluto essere padre –, nell’amore sciatto con la sua donna – l’amplesso in piedi fuori dalla macchina è pregevole –, nella conversazione con l’ex moglie – nostalgico dialogo del passato –, nelle rivelazioni con la sorella – anche l’incesto si incastra perfettamente nel distruttivo quadro del film –, nell’incontro con la madre malata – una spiaggia, la donna bendata quasi fuori campo e lui con una pistola puntata alla tempia –, nel vacuo contatto con una prostituta – la sua inettitudine si evidenzia qui come non mai –, negli ultimi minuti del film – la pioggia e il sedile del passeggero vuoto – come si diventa, dunque, realmente partecipi di un’opera che da una parte ha poco a che vedere col cinema ma che al contempo ne forgia una nuova declinazione?
Onestamente non lo so, però è successo e ne sono felice.
Quello che invece so è che il cinema di Staho si sta profilando come un Cinema del Dolore, cattivo, duro, senza pietà alcuna verso lo spettatore, e compatto, compattissimo, nella sua struttura.
Ci sono molti film che ripercorrono la vita di un uomo che sta per morire, come ci sono stati altrettanti modi usati per descrivere ciò, Dag och natt è una gelida ventata di novità che credo non abbia eguali. Se è vero che prima di morire si rivede la propria esistenza come in un film, bene, questo è un film che assembla gli ultimi pezzetti di una vita poco prima che essa abbia fine, e lo fa con una grossa premessa anticipatrice che comunque non inficia minimante nella sua fruizione. Già, perché inizia così:
Per la maggior parte delle persone martedì 9 settembre 2003 era un giorno come gli altri. Tuttavia per una persona questo giorno era speciale, proprio in questo giorno il quarantenne Thomas Ekman, un rispettato architetto e uomo di famiglia si sparerà un colpo in testa alle 8 e 03 usando una pistola Walther GSP comprata per tale scopo.
L’anno successivo Staho firmerà il film-fotocopia Bang Bang Orangutang.
Daisy Diamond è stata una folgorazione e lì ho pensato che Staho fosse un regista, oltre che parecchio bravo, veramente da tenere d'occhio, anche e soprattutto per le tematiche.
RispondiEliminae la sua è una filmografia tutta da scoprire, perchè credo siano tutte delle piccole perle. questo lo metto tra le prossime visioni sicure.
(bella rece)
Daisy Diamond mi ha distrutto.
RispondiEliminaDirei che aspetterò il momento giusto prima di vedere questo film.
Film gioiello ragazzi. Ho visto tutti gli altri film di Staho a parte Heaven's Heart che ho ma di cui non c'è traccia in rete dei sub eng, e posso dire che è un regista strepitoso... l'erede di Von Trier?
RispondiEliminasarà che von Trier lo mal digerisco, ma è molto meglio Staho. non se la tira e, secondo il mio personale gusto, tratta anche meglio le tematiche. come tipo di narrazione, comunque è vero, si assomigliano abbastanza.
RispondiEliminaNon so se si può fare un paragone tra i due... checché se ne dica Von Trier è un regista di fama mondiale, di Staho invece alcuni dei suoi film non sono nemmeno usciti dai confini scandinavi.
RispondiEliminaLi guardo entrambi, e sono contento così.
Io stesso di Von Trier ho criticato alcuni suoi film (la trilogia E ma anche Le onde del destino), però mi ha fatto emozionare con un capolavoro (Dogville) insieme a molte altre robe belle. Che poi sia spocchioso e saccente sono d'accordo, ce ne fossero però di registi di questo calibro!
E comunque le somiglianze che noti tra i due ci sono tutte perché i film di Staho sono prodotti dalla Zentropa, quindi è come se Lars gli desse i soldi di persona :D
Sono troppo diversi, Von Trier è più barocco e molto meno asettico di Staho, infatti a me Von Trier piace perchè alla fine ha un tocco passionale, esasperato, di partecipazione. Io in Staho ci vedo più qualcosa di Haneke e Bergman, per il rigore e il distacco.
RispondiEliminaho visto daisy diamond in danese... non ho ancora visto la versione italiana. pertanto non ho potuto comprenderlo veramente... ma mi è rimasto un dubbio: alla fine Anna si uccide o è solo la scena del film che sta girando? e comunque... è uno dei film che mi ha distrutto di più... ma d'altronde è scandinavo... !
RispondiEliminaGuarda il dubbio probabilmente ti resterà anche quando lo vedrai con i sub ita, ed è questo il bello.
RispondiEliminaMa fammi capire, ti sei visto un film TUTTO in danese? Cioè, se lo sai buon per te, ma altrimenti come hai fatto? :D
interessantissimo. ma i sottotitoli dove posso recuperarli?
RispondiEliminatulip
Non esistono in italiano. In inglese li trovi con facilità, ma occhio alla versione! Va bene solo quella da 1 cd, non quella divisa in 2.
RispondiEliminasi l'ho visto in danese, ma di fatto non ho capito quasi un bel niente! grazie comunque... :) un saluto!
RispondiEliminaIo premetto di non essere un'esperta di film, ma devo dire che questo lo avevo recuperato per caso questo il primo anno che studiavo svedese per scopi didattici.. Solo sta sera sono riuscita a vederlo tutto in lingua originale e a capire qualcosa.. Il motivo per cui l'ho comunque conservato in tutti questi anni era proprio per l'inquadratura dalla macchina. Ero rimasta colpita dalle scene e dagli effetti. Vedere Stoccolma dai finestrini imperlati dalla pioggia, vedere la madre seduta sulla spiaggia sempre dal finestrino o la scena iniziale con la moglie Anna, anche senza capire la lingua svedese queste scene avevano una certa pregnanza e comunicavano in maniera profonda il senso di angoscia del protagonista e dei personaggi che ruotano lui attorno. Un film che si vive con il proprio stomaco, che si sente sulla propria pelle.
RispondiEliminaTranquilla, non bisogna essere esperti di film per sentire quello che hai sentito tu, che poi è la stesso che ho sentito io. L'expertise lasciamola ad altri, noi teniamoci le emozioni. :)
RispondiEliminaciao,
RispondiEliminadove posso trovare il film night and day?
Emule. Credo.
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