My Son, My Son, What Have Ye Done (2009) è uno di quei film che nessun critico vorrebbe mai trattare. Il motivo sta nelle menti che lo hanno pensato: Werner Herzog e David Lynch.
Lo sguardo profondo dell’autore tedesco che non è sicuramente un pivellino nell’ambiente sebbene poco conosciuto rispetto a quanto meriterebbe, insieme al ciuffo del meditatore trascendentale che incombe prepotentemente fin dalla locandina, obbligano ad un’analisi necessariamente approfondita. Se questo film fosse un’opera prima i suddetti critici potrebbero anche dribblare la sua complessità tacciandola di confusione e poca dimestichezza col genere (alcuni lo hanno fatto), ma essendo partorita dall’estro di due registi faro del nostro tempo è doveroso apporvi sopra una lente d’ingrandimento.
E io che un critico non lo sono, di My son, my son provo a parlarne egualmente con parole più di pancia che di testa, in barba alla stratificazione che lo costituisce cercando di fornire una chiave di lettura evidentemente et indiscutibilmente soggettiva.
Bisogna muoversi innanzi tutto dalla concezione della pellicola basata solo sul crimine commesso; non può trattarsi esclusivamente di un figlio che uccide la propria madre perché intendendo l’opera in questo modo si attua una riduzione che sottovaluta il potenziale concretamente rintracciabile in essa.
Appurato che il primo livello di percezione/comprensione non è l’unico presente, è necessario fare due passi indietro e ripercorrere la carriera dell’Herzog regista lasciando da parte le possibili implicazioni di Lynch che a mio avviso non sono poi così importanti.
Fin dagli esordi (Fata Morgana, 1971) il cineasta ha ampiamente giocato con due crinali di uno stesso rilievo: documentario e fiction che fusi insieme hanno costituito una buona fetta del suo cinema. Opere in cui la realtà raccontata si confonde con la finzione sono estremamente numerose nella poetica herzoghiana. È in un certo senso una truffa, un inganno che spesso ha dato vita ad un pensiero metafisico, mistico, surreale, anche folle con quel Kinski che era l’incarnazione di Herzog sul set.
La follia è un elemento significativo nella sua carriera (si parla spesso di “eroi folli”), e tornando a bomba su questo film, lo è anche per il giovane protagonista Brad. Ecco un punto di contatto: questo è un film su un pazzo diretto da un regista che più volte e in maniera diversa ha affrontato il tema della pazzia.Avvicinando ancora di più la nostra lente di ingrandimento, ci si accorge di come Brad abbia commesso il suo tragico gesto a causa di una (con)fusione tra la vita che viveva e la vita fittizia - il ruolo che recitava in teatro -, dunque un mescolamento percettivo di finzione e realtà.
Egli uccide la madre come fa il protagonista della tragedia greca dando perciò corpo e fisionomia al cinema di Herzog sempre in bilico tra realtà raccontata e realtà romanzata. Ed essendo appunto “cinema” può essere visto da tutti – Brad ripete spesso che tutto il mondo lo sta guardando e le sequenze in un luogo esotico accompagnato da cori simili a quello di Orosei tanto cari a Werner rafforzano il concetto – ma al contempo si cela automaticamente al pubblico poiché Herzog è un autore che non è mai entrato dalla porta principale nel mondo dello star system (lo ha fatto forse per la prima volta a 67 anni con Il cattivo tenente, 2009) – e di rimando Brad non si vedrà mai durante il film se non attraverso il ricordo di chi gli è stato accanto: Udo Kier che ha gli stessi occhi di Kisnki, e Chloë Sevigny che possiede la medesima maternità di Eva Mattes –.
Dunque il passo decisivo è questo: Brad= cinema di Herzog.
Vieppiù che nella casa in cui l’assassino si barrica vivono due fenicotteri, animali appartenenti alla natura da sempre compagna (e nemica!) di viaggio del regista bavarese. Gli amici dicono che Brad sia cambiato dopo il viaggio in Perù, ed anche Herzog lo fu visto che nel paese sudamericano riprese per anni tra fango e sanguisughe le gesta di Fitzcarraldo (1982).
Permangono delle perplessità in pieno stile lynchiano a cui non si riesce dare risposta, tuttavia quello che sembrava essere un divertissement, una burla organizzata ad hoc da due compagnoni, è invece la prova più (indirettamente) autobiografica di Werner H. Stipetic che non è ancora stanco - per fortuna - di raccontare storie di spiriti inquieti, dei quali fa parte, a ritmo di fisarmonica.
Sparagli di nuovo la sua anima balla ancora!
Lasci perdere i fenicotteri. Io vedo struzzi, vedo struzzi che corrono.
Lo sguardo profondo dell’autore tedesco che non è sicuramente un pivellino nell’ambiente sebbene poco conosciuto rispetto a quanto meriterebbe, insieme al ciuffo del meditatore trascendentale che incombe prepotentemente fin dalla locandina, obbligano ad un’analisi necessariamente approfondita. Se questo film fosse un’opera prima i suddetti critici potrebbero anche dribblare la sua complessità tacciandola di confusione e poca dimestichezza col genere (alcuni lo hanno fatto), ma essendo partorita dall’estro di due registi faro del nostro tempo è doveroso apporvi sopra una lente d’ingrandimento.
E io che un critico non lo sono, di My son, my son provo a parlarne egualmente con parole più di pancia che di testa, in barba alla stratificazione che lo costituisce cercando di fornire una chiave di lettura evidentemente et indiscutibilmente soggettiva.
Bisogna muoversi innanzi tutto dalla concezione della pellicola basata solo sul crimine commesso; non può trattarsi esclusivamente di un figlio che uccide la propria madre perché intendendo l’opera in questo modo si attua una riduzione che sottovaluta il potenziale concretamente rintracciabile in essa.
Appurato che il primo livello di percezione/comprensione non è l’unico presente, è necessario fare due passi indietro e ripercorrere la carriera dell’Herzog regista lasciando da parte le possibili implicazioni di Lynch che a mio avviso non sono poi così importanti.
Fin dagli esordi (Fata Morgana, 1971) il cineasta ha ampiamente giocato con due crinali di uno stesso rilievo: documentario e fiction che fusi insieme hanno costituito una buona fetta del suo cinema. Opere in cui la realtà raccontata si confonde con la finzione sono estremamente numerose nella poetica herzoghiana. È in un certo senso una truffa, un inganno che spesso ha dato vita ad un pensiero metafisico, mistico, surreale, anche folle con quel Kinski che era l’incarnazione di Herzog sul set.
La follia è un elemento significativo nella sua carriera (si parla spesso di “eroi folli”), e tornando a bomba su questo film, lo è anche per il giovane protagonista Brad. Ecco un punto di contatto: questo è un film su un pazzo diretto da un regista che più volte e in maniera diversa ha affrontato il tema della pazzia.Avvicinando ancora di più la nostra lente di ingrandimento, ci si accorge di come Brad abbia commesso il suo tragico gesto a causa di una (con)fusione tra la vita che viveva e la vita fittizia - il ruolo che recitava in teatro -, dunque un mescolamento percettivo di finzione e realtà.
Egli uccide la madre come fa il protagonista della tragedia greca dando perciò corpo e fisionomia al cinema di Herzog sempre in bilico tra realtà raccontata e realtà romanzata. Ed essendo appunto “cinema” può essere visto da tutti – Brad ripete spesso che tutto il mondo lo sta guardando e le sequenze in un luogo esotico accompagnato da cori simili a quello di Orosei tanto cari a Werner rafforzano il concetto – ma al contempo si cela automaticamente al pubblico poiché Herzog è un autore che non è mai entrato dalla porta principale nel mondo dello star system (lo ha fatto forse per la prima volta a 67 anni con Il cattivo tenente, 2009) – e di rimando Brad non si vedrà mai durante il film se non attraverso il ricordo di chi gli è stato accanto: Udo Kier che ha gli stessi occhi di Kisnki, e Chloë Sevigny che possiede la medesima maternità di Eva Mattes –.
Dunque il passo decisivo è questo: Brad= cinema di Herzog.
Vieppiù che nella casa in cui l’assassino si barrica vivono due fenicotteri, animali appartenenti alla natura da sempre compagna (e nemica!) di viaggio del regista bavarese. Gli amici dicono che Brad sia cambiato dopo il viaggio in Perù, ed anche Herzog lo fu visto che nel paese sudamericano riprese per anni tra fango e sanguisughe le gesta di Fitzcarraldo (1982).
Permangono delle perplessità in pieno stile lynchiano a cui non si riesce dare risposta, tuttavia quello che sembrava essere un divertissement, una burla organizzata ad hoc da due compagnoni, è invece la prova più (indirettamente) autobiografica di Werner H. Stipetic che non è ancora stanco - per fortuna - di raccontare storie di spiriti inquieti, dei quali fa parte, a ritmo di fisarmonica.
Sparagli di nuovo la sua anima balla ancora!
Lasci perdere i fenicotteri. Io vedo struzzi, vedo struzzi che corrono.
alla fine la tua riflessione mi è sembrata anche molto di testa!
RispondiEliminala mia pancia invece non ha molto gradito questo film, l'ha trovato troppo saporito e poco digeribile
Sì, boh, forse è fin troppo "ragionata" come riflessione sebbene io l'abbia "sputata" appena finito di vedere il film. Il limite della mia interpretazione è che è troppo intrinseca alla filmografia di Herzog, nella mia visione la validità della pellicola si concretizza solo se paragonata alla carriera del regista. Chissà se era nelle intenzione di Herzog o se è solo una mia forzatura, chissà!
RispondiElimina"a pelle", appena visto, non mi era piaciuto molto, il film. credo però che lo si possa apprezzare solo "razionalmente", ragionandoci un pò su. (e, comunque, condivido che la pellicola ha più senso se collocata nella filmografia herzogiana.)
RispondiEliminano, cosa dici?
RispondiEliminaIo invece credo sia una bella sfida con se stessi, o se preferisci, un incontro intenso tra carne spirito e mente. Un movente per radunare le parti di se...
Anche se il mio reale pensiero per adesso è celato, perchè è troppo malvagio XD
Sto aspettando questo film da un po', ma non ho ancora avuto modo di vederlo. Per questo non ho letto nulla di quello che hai scritto se non le prima frasi. Odio conoscere qualsiasi informazione sul film prima di vederlo. Spesso non leggo neanche la trama. Non devo creare nessuna struttura sulla quale potrebbe plasmarsi il mio pensiero. Io mi invento, nasco, o muoio ogni volta che vedo un film. Se costruisco la base prima del film stesso è il film che si nasce o muore.
Quindi, io e te abbiamo un appuntamento qui appena mi ci dedicherò anche io.
;D
Buona Gior
....
RispondiEliminanata, caro.
XD
Ehhhgià. I pc si impallano, le marmotte incartano la cioccolata e si stava meglio quando si stava peggio...
Ah ah ah anche io odio (ma odio davvero eh) leggere qualcosa inerente a un film che non ho ancora visto. Cerco di evitare perché sono più influenzabile di una banderuolina al vento e perciò al massimo mi concedo una sbirciata sui voti, stelline o teschietti, ammesso che ci siano. Io già non li uso e quindi se fossi un mio lettore (cosa sto dicendo?)... non mi leggerei mai.
RispondiEliminaVabbè sai dove trovarmi, se vedi uno che è il sosia di Brad Pitt, ecco quello sicuramente non sono io. Aspetto un tuo commento fiume.
Buon not
...te
Ma dove avete visto questo film?
RispondiEliminaNon lo trovo da nessuna parte....
Qualcuno sa' dove posso scaricarlo?