venerdì 10 aprile 2020

I Cormorani

La formazione professionale di Fabio Bobbio (Ivrea, 4 maggio 1980) è, almeno per quanto si è potuto vedere, un valido biglietto da visita per via delle collaborazioni strette con Daniel V. Villamediana ne La vida sublime (2010) e con Mirko Locatelli – qui produttore attraverso la Strani Film – ne I corpi estranei (2013), quindi il lungometraggio di debutto del regista piemontese non poteva non rivolgersi ad un cinema che ormai è un canone conclamato, ossia un luogo di convergenza tra la finzione e la realtà che si fa ibrido, in equilibrio su un crinale che da un versante rappresenta (ce lo rivela nel pre-finale lo schizzo d’acqua che colpisce la videocamera) e dall’altro intercetta, coglie, assorbe. Negli ultimi anni in Italia ci sono davvero parecchi titoli che si potrebbero portare ad esempio, il primo che sovviene vista l’ambientazione fluviale, un medesimo approccio linguistico e una sovrapponibile attinenza tematica è L’estate di Giacomo (2011), anche ne I Cormorani (2016) il substrato realistico su cui l’opera poggia è una base inamovibile, ed uguale è l’orientamento verso un’età acerba doppiamente impersonificata da Samuele e Matteo, due ragazzini colti nella loro estiva e ciondolante esistenza tra boschi, tangenziali e centri commerciali per mezzo di una prospettiva che cerca di mantenere intonso il tasso di spontaneità, in tal senso Bobbio sacrifica – giustamente – le costrizioni algoritmiche della banale scrittura per attingere al vissuto degli adolescenti che osserviamo necessariamente da “esterni”, sicché dei bisbigli, delle frasi inghiottite da ugole ancora imberbi e dei riferimenti a terzi (compagnetti, fidanzatine) non sapremo niente, perché nei Cormorani non è il cinema ad aver accolto le storie che palpitano soffuse nel territorio canavese bensì l’opposto, constatazione un po’ ovvia, ne convengo, che comunque va puntualizzata.

Il significato che sta dietro ad una vicenda del genere, probabilmente ce ne sono diversi ma uno svetta sugli altri, ossia la fotografia in movimento di un passaggio generazionale, è un concetto che si manifesta nella naturalezza insita nel film, non siamo nel simbolico, almeno non in maniera sfacciata, semplicemente siamo con Matteo e Samuele mentre vivono, e perciò viviamo anche noi. Non c’è bisogno di un particolare impegno esegetico nel girovagare del duo, l’avventura rima al massimo con dei segnali che suggeriscono la penetrazione di ulteriori mondi, di ulteriori bisogni nel guscio dorato che li protegge ma dal quale, per istinto ed esigenza, vogliono e devono uscire. La spia che più esemplifica una propensione a venir fuori dal sentiero conosciuto è il turbamento sessuale che Bobbio idealizza in una prostituta, la gestione degli impulsi testosteronici prosegue nel delicato solco tracciato ed è oggetto dell’unico potenziale superamento del reale quando un controcampo mette di fronte ai ragazzi il corpo nudo di una donna, o l’immaginarsi di tale corpo. È un momento nevralgico: è il primo contatto ravvicinato, nel film, con un adulto nonché il concretizzarsi di un desiderio recondito, e intelligentemente il regista attacca di seguito una sequenza che si specchia al rovescio, una spensierata e pura corsa in bicicletta accompagnata dalla morbida voce di Massimiliano Cranchi.

Luca Pacilio a proposito de I Cormorani ha scritto: “[...] mirando più alla ricerca della temperatura emotiva delle situazioni in gioco che alla costruzione di quell’intreccio a cui quasi tutto il cinema italiano crocifigge i suoi lavori” (link), è una riflessione che sento di condividere in pieno perché centra il cuore di un progetto che, per l’appunto, sa adagiarsi su un battito non solo cardiaco ma anche naturale e sentimentale. Fare comparazioni con altri film meno intraprendenti è superfluo in quanto così è e così sarà sempre, ciò che chi scrive apprezzerebbe molto è un cambio di comprensione di taluni esemplari cinematografici come I Cormorani che nel panorama spettatoriale dovrebbero figurare la normalità e non l’eccezionalità (che spetta alle avanguardie, a chi sperimenta anticipando), ma è una lotta donchisciottesca, prendiamo quello che viene con la stessa innocenza di Matteo e Samuele: la vita, e quindi il cinema, può e deve essere una continua scoperta.

(il brano I Cormorani, contenuto nell’OST ascoltabile qui, se fosse stato firmato dai Mogwai o chi per essi avrebbe mandato in visibilio i redattori di Pitchfork e similari)

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