La
formazione professionale di Fabio Bobbio (Ivrea, 4 maggio 1980) è,
almeno per quanto si è potuto vedere, un valido biglietto da visita
per via delle collaborazioni strette con Daniel V. Villamediana ne La vida sublime (2010) e con Mirko Locatelli – qui produttore
attraverso la Strani Film – ne I corpi estranei (2013),
quindi il lungometraggio di debutto del regista piemontese non poteva
non rivolgersi ad un cinema che ormai è un canone conclamato, ossia
un luogo di convergenza tra la finzione e la realtà che si fa
ibrido, in equilibrio su un crinale che da un versante rappresenta
(ce lo rivela nel pre-finale lo schizzo d’acqua che colpisce la
videocamera) e dall’altro intercetta, coglie, assorbe. Negli ultimi
anni in Italia ci sono davvero parecchi titoli che si potrebbero
portare ad esempio, il primo che sovviene vista l’ambientazione
fluviale, un medesimo approccio linguistico e una sovrapponibile
attinenza tematica è L’estate di Giacomo (2011), anche ne I
Cormorani (2016) il substrato realistico su cui l’opera poggia
è una base inamovibile, ed uguale è l’orientamento verso un’età
acerba doppiamente impersonificata da Samuele e Matteo, due ragazzini
colti nella loro estiva e ciondolante esistenza tra boschi,
tangenziali e centri commerciali per mezzo di una prospettiva che
cerca di mantenere intonso il tasso di spontaneità, in tal senso
Bobbio sacrifica – giustamente – le costrizioni algoritmiche
della banale scrittura per attingere al vissuto degli adolescenti che
osserviamo necessariamente da “esterni”, sicché dei bisbigli,
delle frasi inghiottite da ugole ancora imberbi e dei riferimenti a
terzi (compagnetti, fidanzatine) non sapremo niente, perché nei
Cormorani non è il cinema ad
aver accolto le storie che palpitano soffuse nel territorio canavese
bensì l’opposto, constatazione un po’ ovvia, ne convengo, che
comunque va puntualizzata.
Il
significato che sta dietro ad una vicenda del genere, probabilmente
ce ne sono diversi ma uno svetta sugli altri, ossia la fotografia in
movimento di un passaggio generazionale, è un concetto che si
manifesta nella naturalezza insita nel film, non siamo nel simbolico,
almeno non in maniera sfacciata, semplicemente siamo
con Matteo e Samuele mentre vivono, e perciò viviamo anche noi. Non
c’è bisogno di un particolare impegno esegetico nel girovagare del
duo, l’avventura rima al massimo con dei segnali che suggeriscono
la penetrazione di ulteriori mondi, di ulteriori bisogni nel guscio
dorato che li protegge ma dal quale, per istinto ed esigenza,
vogliono e devono uscire. La spia che più esemplifica una
propensione a venir fuori dal sentiero conosciuto è il turbamento
sessuale che Bobbio idealizza in una prostituta, la gestione degli
impulsi testosteronici prosegue nel delicato solco tracciato ed è
oggetto dell’unico potenziale superamento del reale quando un
controcampo mette di fronte ai ragazzi il corpo nudo di una donna, o
l’immaginarsi di tale corpo. È un momento nevralgico: è il primo
contatto ravvicinato, nel film, con un adulto nonché il
concretizzarsi di un desiderio recondito, e intelligentemente il
regista attacca di seguito una sequenza che si specchia al rovescio,
una spensierata e pura corsa in bicicletta accompagnata dalla morbida
voce di Massimiliano Cranchi.
Luca
Pacilio a proposito de I
Cormorani
ha scritto: “[...] mirando
più alla ricerca della temperatura emotiva delle situazioni in gioco
che alla costruzione di quell’intreccio a cui quasi tutto il cinema
italiano crocifigge i suoi lavori”
(link), è una riflessione che sento di condividere in pieno perché
centra il cuore di un progetto che, per l’appunto, sa adagiarsi su
un battito non solo cardiaco ma anche naturale e sentimentale. Fare
comparazioni con altri film meno intraprendenti è superfluo in
quanto così è e così sarà sempre, ciò che chi scrive
apprezzerebbe molto è un cambio di comprensione di taluni esemplari
cinematografici come I
Cormorani
che nel panorama spettatoriale dovrebbero figurare la normalità e
non l’eccezionalità (che spetta alle avanguardie, a chi sperimenta
anticipando), ma è una lotta donchisciottesca, prendiamo quello che
viene con la stessa innocenza di Matteo e Samuele: la vita, e quindi
il cinema, può e deve essere una continua scoperta.
(il
brano I Cormorani,
contenuto nell’OST ascoltabile qui, se fosse stato firmato dai
Mogwai o chi per essi avrebbe mandato in visibilio i redattori di
Pitchfork e similari)
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