Sono
d’accordo con voi, che senso ha scrivere de La leggenda di
Kaspar Hauser (2012) dopo tutti questi anni e dopo che chiunque
possiede un minimo di interesse oltre il cinema da multisala l’ha
già visto? Avrei potuto tranquillamente soprassedere visto che di
parole ne sono già state scritte a fiumi e di sicuro le mie, poche e
nient’affatto analitiche, non aggiungeranno granché all’esegesi
sull’opera. Ciò da cui posso partire è il ricordo che ho al tempo
della sua uscita in vari festival satellitari, il sito Uzak, nelle
vesti del direttore Luigi Abiusi, ne decantò per mesi e mesi le
presunte e/o effettive qualità, e a mano mano che le persone
riuscivano a metterci gli occhi sopra i commenti positivi non
faticavano a fiorire, si era creato sostanzialmente un certo hype per
il sottoscritto, un’attesa che nel frattempo era stata mitigata
recuperando i lavori passati di Davide Manuli, Girotondo, giro intorno al mondo (1998) e Beket
(2008) da cui si era palesata
una traiettoria artistica di ammirabile entità, poi chi scrive è
sparito per diverso tempo, ha chiuso bottega e del Kaspar Hauser
manuliano, sebbene visto, si era persa traccia nel lungo periodo di
chiusura del blog.
La
seconda visione, avvenuta qualche settimana fa, non ha cambiato di
troppo le impressioni che scaturirono dalla prima, in sintesi
continuo a non concordare sulla capolavorità del film in oggetto,
certo ne riconosco i pregi che vanno a situarsi in un’impronta
visiva dal forte impatto e in un annientamento del racconto canonico,
così come non sono niente male le cavità metafisiche (c’è lo
zampino di uno dei migliori scrittori italiani della nostra epoca,
Giuseppe Genna, e non per niente un capitoletto della pellicola si
chiama “io sono”, titolo di un suo libro edito nel 2015 da Il
Saggiatore) e quelle religiose (i siparietti con i monologhi del
prete Fabrizio Gifuni sono tra le migliori cose disponibili), il
connubio dei suddetti elementi potrebbe far apparire lo sforzo di
Manuli come innovativo cosa che invece a mio avviso non è. Il cinema
da lui proposto ha indubbiamente preso una strada autoriale e
personale identificabile al primo sguardo, tuttavia permane un forte
retaggio di altri registi che l’hanno preceduto, e non si può non
citare il duo Ciprì & Maresco (il personaggio dal collo abnorme
sembra uscito dritto dritto da Cinico Tv) o, per volare più in alto,
Straub & Huillet, tali riferimenti ben si rintracciavano anche nei
lungometraggi precedenti e la speranza, disattesa, era che ne La
leggenda di Kaspar Hauser si
potesse compiere uno step oltre, c’era, in pratica, la necessità
di andare al di là della conferma, di rompere, magari, per subito
ricostruire qualcosa di nuovo.
L’assenza di un marcato cambio di passo è il motivo principale che
non mi ha fatto sentire ciò che invece altri hanno sentito, non so
non so, a volte la linea della soggettività è proprio labile, mah!
Spero che Abiusi non me ne voglia troppo per un affronto del genere,
oh, a mia discolpa posso affermare che la colonna sonora mi è
piaciuta parecchio.
l'ho visto al cinema, a suo tempo, nel 2013.
RispondiEliminaavevo scritto qui:
https://markx7.blogspot.com/2013/06/la-leggenda-di-kaspar-hauser-davide.html