Donna di cinema, Maren
Ade prima che regista è produttrice avendo finanziato, tra gli
altri, anche alcuni film di Miguel Gomes, compresa la titanica triade
Le mille e una notte – Volume 1, Volume 2,
Volume 3 - 2015, mentre nel campo della direzione si segnala
il debutto datato 2003 con The Forest for the Trees ed il
successivo Everyone Else (2009) che chi scrive trovò al
tempo parecchio insipido, Toni Erdmann (2016) giunge quindi
sette anni dopo l’ultima fatica della cineasta tedesca la quale, da
adesso in poi, verrà probabilmente presa molto ma molto in
considerazione dalla critica cinematografica perché l’opera
sotto esame ha un pedigree festivaliero con annessa valanga di premi
vinti in grado di rendere il prodotto più vendibile e perciò
più vedibile, non a caso eccolo qui nelle sale italiane, e
dunque si prospetta alla pellicola e alla sua autrice
un’accessibilità su larga scala, anche grazie al fatto di
essere giunta ad un passo dal cariato cuore hollywoodiano. Capirete
che con tali informazioni si parla di un cinema codificato che potrà
trasmettervi svariate cose ma di certo non lo stupore delle visioni
che ben conosciamo, ci si può rifugiare al massimo dietro a
qualche espressione costruita ad hoc, del tipo: Toni Erdamann è
un film carino e il corsivo è dato dal fatto che dovete
leggerlo pensando alla possibile tenerezza che gli occhi di una donna
serbano per il proprio attempato padre, oppure Toni Erdmann è
una commedia intelligente perché fa riflettere (dio mio,
rinnego già ora di aver scritto questa frase), o anche Toni
Erdmann ha i suoi momenti che tradotto sta a significare di come
alcune scene siano carine (e di nuovo): direi l’inaspettata
apparizione di Mr. Erdmann ed il naked party con
abbraccio riconciliatore conclusivo.
Non vorrei apparire uno
spocchioso critico da tastiera (che in effetti sono, mio malgrado),
ma credo con l’elenco soprastante di aver fornito un’idea della
dimensione che concretizza il film, poi se si vuol sapere che cosa
riempie due ore e quaranta minuti di proiezione è altrettanto
presto detto: c’è una figlia, Sandra Hüller già
vista nel lungometraggio precedente, e c’è un padre, la Ade
si concentra nella volontà di far riavvicinare queste due
persone che il tempo, la distanza e le rispettive vite, professionali
e non, hanno allontanato. La lettura del meccanismo con cui entriamo
in contatto è piuttosto agevole: Ines si è
deumanizzata, è diventata il lavoro che fa, pippa cocaina
insieme ad aridi colleghi uguali a lei, mentre Winfried tenta di
riportarla sul pianeta famiglia e non riuscendoci nelle vesti di
padre da buon mattacchione si inventa il personaggio del titolo.
Questo è, e nient’altro se non un susseguirsi di scene
tarate su ciò che ho appena detto, ergo: lei dimostra ogni
volta le sue doti di squalo del businnes, lui desidera riavere una
figlia e non un robot. L’agevolezza con cui si accede al nucleo
semantico di Vi presento Toni Erdmann non può essere
considerata un’esperienza artistica piena ed appagante, né
un’esperienza tout court, si tratta piuttosto di “vedere un film”
nell’accezione più logica e basilare che tale atto
contempla, si provano emozioni ma sono oculatamente indotte, si
avverte uno spessore oltre la tiepida comicità ma non è
abbastanza per parlare di profondità, si testa un’empatia
coi personaggi ma sempre filtrata dall’incolmabile distanza tra
l’osservatore e l’osservato. Occhio: lodi smisurate ai due
interpreti principali e un diffuso apprezzamento generale stanno per
sopraggiungere dovunque.
il film precedente era terribile, altro che insipido, sei troppo gentile (https://markx7.blogspot.it/2012/07/alle-anderen-maren-ade.html).
RispondiEliminaci sono cose migliori al cinema, è un mio pre-giudizio
Questo è meglio, ma anche peggio.
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