giovedì 23 marzo 2017

La tierra aún se mueve

L’introduzione a La tierra aún se mueve (2017) potrebbe muoversi da un’America sul finire del sedicesimo secolo nella quale si prova ad immaginare uno sparuto numero di indiani che dalle rocce a picco sul mare scorgono all’orizzonte delle “cose” che mai avevano visto prima, vedono-non-vedono, e soprattutto non sanno che da laggiù, oltre il palmo che usano come visiera, si stanno avvicinando delle navi poiché le connessioni sinaptiche dei loro cervelli non sono mai state impiegate per trasmettere informazioni del genere, e che questa sia una fola o meno è comunque utile tenerla a mente in relazione al manifestarsi di un film così unico perché, permettetemi il parallelo, Pablo Chavarría Gutiérrez ci fa diventare a nostra volta degli indigeni di fronte a dei galeoni sconosciuti: vediamo sì, eppure non vediamo niente, poiché, semplicemente, vediamo qualcosa di nuovo, o meglio: qualcosa che ci fa vedere il mondo in un modo nuovo, ed una tale proprietà non è tanto una caratteristica dei capolavori quanto delle avanguardie, di chi, indomito, sta davanti e anticipa, di chi sonda territori che risultano inesplorati se non inesplorabili e che attraverso un portentoso processo di modellazione li tesaurizza restituendoceli in dati che oscillano tra il nodo zenitale e quello nadirale, in quanto alla fine, ciò che conta, che fonda, è la catena perpetua morte-vita-morte, come l’inizio (l’immagine iperreale di quello che forse è un animale quasi fossilizzato – si intuisce una pseudo gabbia toracica) e la conclusione (tartarughe che depongono delle uova nella sabbia).

Ma non vorrei mai che la prospettiva esistenzialista, se così può essere definita, si presti a chiave di lettura dato che qui siamo di molto oltre le cognizioni interpretative, se ripensiamo a Las letras e Alexfilm (entrambi del 2015) c’erano ancòra àncore esegetiche a cui potersi affidare per un approdo nella logica, nell’ultima fatica di PCG è invece opportuno arrendersi alle immagini per domandarsi a quali inusitate potenze può tendere il cinema. Ultimamente abbiamo visto parecchi esemplari in materia capaci di sfruttare le latenze di una realtà che gli schermi hanno ucciso per troppo tempo finzionalizzando tutto, e continuo a citare Leviathan (2012) come apice del discorso, però con La tierra aún se mueve, e già lo avevamo intuito in Las letras, non ci si può impastoiare solo sulla traiettoria del reale perché Chavarría Gutiérrez, soprattutto col titolo in oggetto, sofistica indefessamente il girato, lo altera con accorgimenti ottici che rideterminano, nello spazio di un fotogramma, il concetto stesso di immagine e quindi di guardare la medesima. Ed è ovvio che non si tratta esclusivamente di singolarità, la messa in serie dell’opera è infatti costituita da una ricorsività che dilaga e dialoga sottomente (quella strada; quella donna; quel toc-toc) avvalendosi di un congegno estetico-sonoro di cui non riesco a trovare parole consone per una sua descrizione, ed il motivo è forse dovuto all’inafferrabile natura sensoriale del film ed al suo strabiliante superamento, dove arriva La tierra aún se mueve?

Non lo so perché la condizione indigeno-spettatoriale permane anche a proiezione conclusa, e non so nemmeno dove mi ha portato pur avendo l’assoluta certezza che un viaggio, anche parecchio intenso, è stato compiuto, ciò che al massimo si riesce ad esperire è che nell’attraversamento di svariati stati emotivi quello dell’inquietudine nera e profonda non se ne è mai andato, come se in questa sinfonia sconsacrata una filigrana atra tessesse e intensificasse con un tocco diabolico la “normalità”, e allora in una qualunque strada notturna un uomo può trasformarsi in un cane e delle macchine possono diventare ologrammi opalescenti, e allora un ragazzo messicano di trentuno anni può girare il suo “The Tree of Death” , di dieci spanne sopra al tronfio modello yankee, e noi non possiamo fare altro che riunirci in silenzio.

Un doppio grazie a Dries.

4 commenti:

  1. Solo doppio ???? xD
    Comunque PCG è di una bravura ultraterrena, sebbene condivida per filo e per segno ogni tua virgola mi sembra la tua recensione più difficile, e non potrebbe essere altrimenti, davanti a certe cose ( perchè chiamarlo film sarebbe riduttivo) non si possono usare le parole, servirebbe coniare un nuovo linguaggio

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  2. Gli altri ringraziamenti li serbo per quando mi procacerrai altre prelibatezze gutierreziane :)
    Difficile è dire poco, è stata una di quelle situazioni in cui il biancore del foglio word sembra impossibile da riempire, pensi un sacco di cose ma non riesci ad esprimerle in modo degno.

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    1. per quanto mi riguarda invece, paradossalmente, è riuscito a tirar fuori il mio miglior scritto di sempre...roba che mi chiedo cosa (o di cosa) potrò scrivere d'ora in avanti.

      Ad ogni modo ho tante altre chicche da darti, anche se ovviamente non di gutierrez e non di questa portata :)

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    2. non ti credere, magari tra qualche anno rileggerai quello che avevi scritto e dirai: "ma che è 'sta roba?", in un percorso di crescita ci sta un'evoluzione del proprio stile

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