Aleksandr Petrov si
abbevera alla fonte mitologica: rusalka è la parola che indica
un tipo di divinità appartenente al folklore slavo-russo, si
tratta di un’entità femminile che vive nelle acque dolci e
che non è ben vista dal popolo sulla terra ferma in quanto
sarebbe l’incarnazione di una donna suicidatesi per cause
riconducibili alla prepotenza maschile. Praticamente si tratta di una
versione alternativa al mito delle sirene e Petrov non fa altro che
fornirci un possibile quadretto tra il fiabesco e l’onirico che ha
come protagonisti un giovane monaco e una di queste ammalianti
creature; come sempre il livello realizzativo è elevato e si
attesta nella particolare tecnica di pittura su vetro, Petrov non si
risparmia nelle intenzioni cromatiche e riempie ogni centimetro della
sua tela con una carica portentosa che investe, che tracima in un
romanticismo deflagrante. Al pari di tutti gli altri lavori del russo
(con un aggancio notevole ad alcune similari ed esuberanti sequenze
di Moya lyubov, 2006) le accelerate visionarie che ogni tanto
colmano lo schermo meritano un sacco, trascinano in un vortice di
tempere che diventa uragano di fantasia, trascinante, nel suo
piccolo, fino a mozzare il fiato (in Rusalka [1997] ci sono
almeno due scene che hanno la potenza di cui sopra e che forniscono
il quid pluris che tanto ricerchiamo).
E i difetti? Presenti,
ovviamente. E sempre nello stesso settore che è quello della
scarsa dinamicità, dei movimenti impastati e sabbiosi.
L’assenza di una fluidità visiva incide davvero tanto sulla
riuscita dell’opera sotto esame e di tutte le altre dell’animatore,
senza esclusioni, tanto che se vogliamo parlare di animazione viene
difficile vedere ciò che produce come un qualcosa di animato,
di vivo, i suoi dipinti in movimento hanno uno stile identificabile
al primo sguardo e punteggiato da virtuosismi pregevolissimi, ma per il
sottoscritto manca qui e là l’ingrediente base, ed è
paradossale perché i film di Petrov hanno una grossa carica
sentimentale, eppure non basta: meno maestria ad un passo dalla
supponenza e più cuore nel voler raccontare. Non gli si
chiederebbe altro.
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