Non sono particolarmente
ferrato sull’animazione estone per cui spero perdonerete la
pochezza delle righe seguenti le quali hanno come principale
obiettivo soltanto quello di pizzicare la vostra curiosità e
in seconda battuta di ricercare della polpa all’interno del guscio,
perché forse forse Karl ja Marilyn (2003) qualcosina da
dirci ce l’ha e ci tiene ad esporla fin da subito con il detective
che suggerisce una precisa chiave di lettura, quella di un mondo
pronto ad idolatrare la stella di turno. Da questo principio
Priit Pärn, animatore di lungo corso e a quanto pare piuttosto
seguito e apprezzato, imbastisce una storia dal duplice volto che
tramite l’antitesi dà sostegno alla propria tesi, o a ciò
che vorrebbe essere tale. Il percorso del barbuto tuffatore (in
alcune sinossi su Internet è definito come Karl Marx ma la mia
ignoranza non mi ha permesso di cogliere eventuali riferimenti) è
inverso a quello dell’aspirante Marilyn Monroe,
da mito sportivo all’anonimato intenzionale con tanto di
spersonalizzazione (il taglio della barba rossa che lo rende sul
serio uno come tanti) e gesto violento (dovuto al fatto che adesso
nessuno lo avrebbe più riconosciuto?), mentre per la donna dai
seni prominenti il passaggio dalla casa di periferia alle strade
urbane l’ha resa un effimero astro dalle pudenda sempre in bella
mostra.
Non
si capisce se Pärn volesse far spiccare la stupidità
della folla che si accalca per personaggi di discutibile valore umano
(d’altronde anche Marilyn… uccide) o se l’idea era quella di
illustrare il percorso andata e ritorno della fama e di chi ne è
il protagonista con relative problematiche barra turbe barra psicosi,
non si capisce e l’assenza di un indirizzamento lascia il ventaglio
delle possibilità così aperto da rendere difficile la
ricerca di un punto di chiusura. Chiaramente potrebbe levarsi un coro
di chissenefrega di fronte a codesti ragionamenti poiché si
tratta pur sempre di un corto lungo neanche mezz’ora e che, è
il caso di dirlo, per quanto riguarda la sua forma grida
nevroticamente la propria cultura del brutto, quel tratto
antiestetico che delinea figure bitorzolute, di un grottesco dai
contorni tremolanti, praticamente un ritratto avariato di mostri e
mostriciattoli che di sicuro non difetta di originalità
estetica, la diretta conseguenza è che chi si accontenta
esclusivamente di quanto carpiscono gli occhi allora il film sotto
osservazione appagherà il loro weird-appetito, per tutti gli
altri un tentativo è consigliabile, il consecutivo
apprezzamento no.
Nessun commento:
Posta un commento