Cupido è tra noi, ha i riccioli
neri e guida una vespa.
Una certa levità di fondo
permette a God of Love (2010) di non imbottigliarsi in un
sentimentalismo da soap opera, quell’urticante rimasticazione
romance di stampo televisivo che ammorba buona parte dei film
per-la-massa dentro le sale; sull’argomento “adesso vi
dico la mia in merito” Luke Matheny, attore e regista, si esprime
con un metodo che, appunto, sa usare un’ironia non troppo invadente
né troppo evasiva, è substrato che diventa anche
autoreferenziale (“a prima vista sembro un’idiota”, dice il
protagonista), che non conosce rigidità e tende a rafforzarsi
con l’utilizzo di alcune finezze all’interno del testo filmico,
virgole e accenti tra la carineria e la bonarietà (del tipo:
il nome della ditta che spedisce i dardi a Ray, le parole della
canzone suonata nel club), senza scordare la tendenza ad inscenare
gag e siparietti vari che hanno trovato un riscontro accettabile in
chi scrive (Ray che raccatta donne – e non solo – per strada è
forse il momento più divertente).
Ovvio che quanto appena detto è
il risultato di uno strizzamento esegetico volto allo sgocciolamento
dei pregi (pensatelo scritto in piccolo) insiti nel film, perché
andiamo, sì che a voler essere buoni la leggerezza è
concretamente davanti ai nostri occhi, ma che cosa c’è di
altro? Ad una risposta non si riesce a pervenire poiché,
almeno per il sottoscritto, la morale vagamente parabolica di un Eros
che rinuncia al proprio amore non è appagante, proprio no. Il
punto è che God of Love pur essendo un’opera graziosa
ma tremendamente gracile, ha vinto uno dei premi più
prestigiosi al mondo (Oscar miglior corto live action) e ciò
non può che dare da pensare in relazione alla mole di
short-movie che foraggiano annualmente Festival e rassegne e che, non
credo di dire una fesseria, non hanno niente di meno del lavoro di
Matheny e al contempo è probabile che abbiano molto ma molto di più. Sparare a zero sulle decisioni
dell'Academy è uno sport praticato ovunque per cui la pianto
immediatamente, che lo si voglia o meno le cose girano così,
sicché è doveroso concludere con una banalità
bella, buona e purtroppo vera: il Cinema nella maggior parte dei casi
sta lontano dai riflettori, e un God of Love qualunque ce lo
dimostra, amaramente.
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