Storia di un presepe
decadente: c’è l’ubriacone, ci sono delle donne in coda
per la questua, ci sono degli avidi becchini, e c’è un vecchio che
lentamente scivola giù dal tetto.
Aurel Klimt, animatore
ceco che ha studiato sotto l’egida del maestro Břetislav Pojar presso la FAMU, accademia artistica con sede a
Praga, costruisce una
piccola tragedia urbana (e umana) dove il fulcro della vicenda è,
senza essere banali e senza esagerare gratuitamente nei toni, un
qualcosa di ben più profondo di un uomo che cade da un tetto (“pád”
significa proprio “caduta”) e che all’ultimo
secondo riesce ad aggrapparsi alla grondaia. Nella discesa, quasi
rassegnata vista l’immobilità dell’uomo (che è un
burattino, come tutti gli altri personaggi della messinscena), il
tragitto si fa metafora del senso ultimo per eccellenza, la Fine è
un traguardo veramente ad un passo salto ed anche se
non sappiamo niente dell’accondiscendente suicida, lo scenario illustrato nello spazio di quattordici minuti suggerisce un afflato
di miseria che riesce eccome a giustificare il gesto definitivo.
Eppure, sebbene vi sia
innegabilmente una tensione scoraggiante, di arrendevolezza verso
l’ineluttabile causata da una linfa sociale incapace di dare
sostentamento, Klimt è bravissimo nel contaminare tale
atmosfera con un’ironia pregiata e dalla natura multiforme: si va
da quella senza pretese dei due gatti (con annessa, e divertente,
metamorfosi canina), si prosegue nella satira o in un modello
similare (tutte le cadute contemporanee al protagonista in bilico
sono completamente snobbate dalle istituzioni sul posto) e si affonda
nel medesimo campo (gli alterchi tra i due agenti delle pompe funebri
con, nell’ordine, un dottore e un pompiere, rivelano la bramosia di
accaparrarsi un… cadavere), per poi terminare con un assolo
nostalgico dove l’immagine del vecchio abbandonato al suo precario
destino suggerisce la solitudine urgente di un essere umano ignorato
da una città-mondo che si addormenta sotto un cielo stellato,
e a suggellare le belle musiche di Petr Soudek conferiscono la
malinconica cifra di questo cortometraggio.
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