Primo frutto di una
trasferta che regalerà successivamente un film di cui non si
sentono altro che parole magnifiche (The Last Time I Saw Macao,
2012), Alvorada Vermelha (2011) è il secondo lavoro dopo China, China (2007) che vede collaborare João Pedro Rodrigues con il
connazionale João Rui Guerra da Mata, un sodalizio che in
realtà esisteva già dagli esordi di Rodrigues ma che
negli ultimi anni si è intensificato al punto di spingere i
due nella lontana Macao, ex colonia portoghese passata alla Cina nel
1999, dove Guerra da Mata trascorse l’infanzia. Due menti al
servizio del luogo: quella di João Pedro, che non era mai
stato a Macao nella sua vita e che conosceva soltanto attraverso il
cinema (quello di Josef von Sternberg e del suo L’avventuriero di
Macao [1952] con Jane Russell al quale il corto è dedicato), e
quella di João Rui legata ai ricordi di quando era un bambino.
Ad un primo livello
Alvorada Vermelha ci appare come la ripresa di uno spaccato
giornaliero all’interno del mercato locale; introducendoci al
sorgere del sole dentro il capannone, gli autori rispettano una sorta
di temporalità che sottolinea il realismo ricercato: dentro si
susseguono i preparativi in attesa dell’apertura, il montaggio e
gli angoli di visuale utilizzati trasformano la routine in un’ipnosi
destabilizzante, non succede niente di particolare dietro questi
banconi, eppure perché è così difficile
distogliere lo sguardo? Ad un secondo livello le attività dei
commercianti colte nella loro reiterazione disturbano; il titolo
allora acquisisce un altro significato: l’alba rossa gronda di
sangue, quello di galline sgozzate di fronte a stie zeppe di proprie
simili o quello di pesci squartati che con metà del proprio
corpo scattano nervosi. Nessuna accusa da parte di João &
João, nessuna apologia animalista (d’altronde è ciò
che si ripete ogni giorno in ogni mercato del mondo), più
semplicemente l’atto di esserci, di presenziare i rituali che si
consumano come se niente fosse (stupefacente la rapidità con
cui un tizio ripulisce un pesce), cinema-testimonianza che è
lì senza giudicare, mosso da uno spirito curioso e
contemplativo, in uno spazio dove tra l’indifferenza generale tutto
oscilla tra la vita e la morte. Ma ad un terzo e ultimo livello si va
oltre il realismo sopraccitato, ed è bellissimo, e bisogna
ringraziare il cinema che ha la capacità di dare sfogo
all’immaginazione, di rendere possibile l’impossibile, di
instillare il surreale nel reale, è questo di cui ha bisogno
la settima arte oggi, apertura all’irrazionale con i piedi piantati
per terra, e il piacere incredibilmente rasserenante di poter scorgere una sirena in un mattatoio del genere.
avevo visto "Odete" (http://markx7.blogspot.it/2012/09/odete-joao-pedro-rodrigues.html), João Pedro Rodrigues è uno bravo, cercherò "Alvorada Vermelha":)
RispondiEliminaOdete buono, Morrer como um Homem ottimo, Alvorada Vermelha (difficile da trovare, io ho approfittato della visibilità gratuita [ma limitata] su Doc alliance) magnetico. Rodrigues non solo è bravo, ma con il collega Guerra da Mata forma il miglior duo registico europeo. E lo dico senza aver visto praticamente nulla di loro.
RispondiEliminaCiao. Anche a me è piaciuto molto. Al Torino Film Festival dell'anno scorso ho perso The Last Time I Saw Macao, che spero si possa recuperare in qualche modo... In Red Dawn (lo chiamo col titolo inglese, che mi è più facile!) ho riscontrato le influenze di Tsai Ming-liang, non solo per lo stile contemplativo e i piani fissi, ma per l'inserto, quasi kitsch, della sirena (mi ha ricordato alcune cose de Il gusto dell'anguria o Visage). Tu che ne pensi? Ciao!
RispondiEliminal'accostamento è interessante ma non mi trova completamente d'accordo. AV (vorrei premettere che di Joao & Joao non ho ancora visto nient'altro) si muove su un livello che è definirei documentaristico, anche se è chiaro che i due registi non volessero fare un canonico documentario. Questa impronta "doc" però si percepisce e quindi trasmette una dose di realismo a cui non possiamo sottrarci, il colpo di genio è stato quello di inserire un elemento totalmente astratto come l'ologramma della sirena dentro al contesto, io non parlerei di kitsch ma di vera e propria surrealtà. Il cinema di Tsai, al contrario, non ha matrici documentaristiche a suo sostegno, è vera la contemplazione e l'immobilità, ma ha un altro fine: non più la realtà ma una sorta di straniamento, una sospesione squisitamente tsaiana, un altrove che comunque sa dirci molto del nostro mondo, e i siparietti musicali (quelli sì davvero kitsch!) sono gemme a loro volta estranee che però non riesco ad iscrivere nella surrealtà, sono addirittura oltre, in un assurdo indefinibile.
RispondiEliminaCiao a te e bell'avatar!
Grazie per la risposta! Io di João Pedro Rodrigues ho visto solo Fantasma (se ti interessa, lo trovi su Youtube, però credo sia tagliato), e anche in quel caso - anzi, più che in Red Dawn - ho pensato spesso al cinema di Tsai (più che altro, per il finale). Un saluto, e buona continuazione di visioni (che seguo sempre con piacere). Ciao!
EliminaFantasma lo vidi quattro o cinque anni fa. Credo sia un film più che valido, però al tempo non lo capii.
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