Dunque, il secondo
capitolo della trilogia di Ulrich Seidl.
Inutile ripetersi sulla
continuità stilistica e stilemica dell’autore viennese che
si riscontra anche in Paradies: Glaube (2012), piuttosto è maggiormente opportuno sviscerare subito il tema portante dell’opera: la fede,
quella fede che vede Anna Maria, tipica austriaca della porta accanto
nel mondo seidliano, donna in balia di una devozione che diventa
fanatismo ossessivo, invasione della propria vita privata (la
separazione di letto dal marito) e di quella altrui
(l’evangelizzazione porta a porta) che la fa sentire una martire in
una realtà che trasuda ai suoi occhi vizi e peccati a gogò
(non è da escludere che la visione infernale dell’orgia nel
parco, così assurda ed estranea al contesto, possa essere
un’allucinazione della protagonista). Non nuovo ad affrontare
argomenti del genere (c’è da citare Jesus, You Know, 2003),
Seidl utilizza la figura del marito storpio finanche islamico per
intensificare la portata concettuale: quello che accade nella bella
casa dell’infermiera è uno scontro che si potrebbe definire
quasi politico, una “guerra santa” che oppone due fazioni agli
antipodi, ed è interessante notare di come il regista, maestro
di acido sarcasmo, renda più ottusa ed integralista la donna
occidentale che l’uomo di origini extracomunitarie costretto ad
implorare un po’ di umanità alla consorte.
L’impostazione del film
alterna diatribe coniugali (riuscite: lui che stacca i drappelli
cristiani dalle pareti o che interrompe la riunione dei fedeli sono
momenti convincenti) a trasferte di Anna Maria in casa di sconosciuti
che tenta di riportare sulla retta via, qui è chiaro che i
siparietti, come sempre originali ed alieni al resto della
cinematografia contemporanea, non si fondono in tutto e per tutto con
il nucleo domestico della storia, sono insindacabilmente validi di
per sé, ma la funzione ampliativa che vorrebbero avere si
incaglia nella non perfetta combinazione con le vicende dei coniugi,
ad esempio l’ultima sortita di Anna Maria nell’abitazione di una
giovane ubriacona viene prolungata ad oltranza suscitando qualche
dubbio di improduttività. Come il sottoscritto
aveva sottolineato con il precedente Paradise: Love (2012)
l’incidenza di Seidl sembra leggermente minore rispetto alle
staffilate del passato, se questo ammorbidimento sia dovuto
all’abbandono della coralità che intrecciandosi creava una
maglia dalla quale era impossibile sfuggire, è un’ipotesi che
riterrei fondata, il punto è che Glaube latita di
quella cattiveria, quella capacità di dardeggiare
implacabilmente la nostra società, perché anche il
comportamento di Anna, sebbene anormale ed eccessivo, non sbalordisce
in praticamente nessuna delle sue manifestazioni, nemmeno nel
rapporto sessuale con la croce. Nonostante ciò il cinema di
Seidl è e rimane un punto di riferimento per i cinefili e per
i colleghi (Yorgos Lanthimos, Veiko Õunpuu e Ruben Östlund
hanno qualche debito nei suoi confronti), e un film che è solo
buono e non eccellente non scalfirà la bravura di Mr. Ulrich.
Alla fine troviamo una
precisa corrispondenza tra questi due primi episodi della triade:
ambedue le protagoniste, giunte alla conclusione del film, vedono
evaporare il loro Eden personale. Anna Maria, dopo aver constatato la dimensione di perdizione che la circonda (e allora i segmenti rimarcati sopra in
quest’ottica fungono da episodi che minano la sua religiosità),
inveisce contro il Simbolo del Sacrificio fustigandolo, ricreando una
Salita al Calvario nella piccola camera di un appartamento austriaco.
Al pari di quanto era successo alla sorella in Africa, il Paradiso è
perduto.
Seidl è uno di quei registi di cui bisognerebbe vedere tutto, e questo l'ho capito dal primo, formidabile, film che di lui mi sia capitato di vedere, "Jesus...", che, ancora adesso, pure dopo aver visto il primo "Paradise" e "Import/Export", resta per quanto mi riguarda la sua vetta artistica. Non sapevo che fosse finalmente reperibile il secondo capitolo della trilogia, ma è già in dl. Grazie.
RispondiEliminaPer me Import/Export rimane il suo lavoro più compiuto. Sarebbe interessante vedere i film che precedono Animal Love (1996), pare siano meritevoli.
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