sabato 10 agosto 2013

Paradise: Faith

Dunque, il secondo capitolo della trilogia di Ulrich Seidl.
Inutile ripetersi sulla continuità stilistica e stilemica dell’autore viennese che si riscontra anche in Paradies: Glaube (2012), piuttosto è maggiormente opportuno sviscerare subito il tema portante dell’opera: la fede, quella fede che vede Anna Maria, tipica austriaca della porta accanto nel mondo seidliano, donna in balia di una devozione che diventa fanatismo ossessivo, invasione della propria vita privata (la separazione di letto dal marito) e di quella altrui (l’evangelizzazione porta a porta) che la fa sentire una martire in una realtà che trasuda ai suoi occhi vizi e peccati a gogò (non è da escludere che la visione infernale dell’orgia nel parco, così assurda ed estranea al contesto, possa essere un’allucinazione della protagonista). Non nuovo ad affrontare argomenti del genere (c’è da citare Jesus, You Know, 2003), Seidl utilizza la figura del marito storpio finanche islamico per intensificare la portata concettuale: quello che accade nella bella casa dell’infermiera è uno scontro che si potrebbe definire quasi politico, una “guerra santa” che oppone due fazioni agli antipodi, ed è interessante notare di come il regista, maestro di acido sarcasmo, renda più ottusa ed integralista la donna occidentale che l’uomo di origini extracomunitarie costretto ad implorare un po’ di umanità alla consorte.

L’impostazione del film alterna diatribe coniugali (riuscite: lui che stacca i drappelli cristiani dalle pareti o che interrompe la riunione dei fedeli sono momenti convincenti) a trasferte di Anna Maria in casa di sconosciuti che tenta di riportare sulla retta via, qui è chiaro che i siparietti, come sempre originali ed alieni al resto della cinematografia contemporanea, non si fondono in tutto e per tutto con il nucleo domestico della storia, sono insindacabilmente validi di per sé, ma la funzione ampliativa che vorrebbero avere si incaglia nella non perfetta combinazione con le vicende dei coniugi, ad esempio l’ultima sortita di Anna Maria nell’abitazione di una giovane ubriacona viene prolungata ad oltranza suscitando qualche dubbio di improduttività. Come il sottoscritto aveva sottolineato con il precedente Paradise: Love (2012) l’incidenza di Seidl sembra leggermente minore rispetto alle staffilate del passato, se questo ammorbidimento sia dovuto all’abbandono della coralità che intrecciandosi creava una maglia dalla quale era impossibile sfuggire, è un’ipotesi che riterrei fondata, il punto è che Glaube latita di quella cattiveria, quella capacità di dardeggiare implacabilmente la nostra società, perché anche il comportamento di Anna, sebbene anormale ed eccessivo, non sbalordisce in praticamente nessuna delle sue manifestazioni, nemmeno nel rapporto sessuale con la croce. Nonostante ciò il cinema di Seidl è e rimane un punto di riferimento per i cinefili e per i colleghi (Yorgos Lanthimos, Veiko Õunpuu e Ruben Östlund hanno qualche debito nei suoi confronti), e un film che è solo buono e non eccellente non scalfirà la bravura di Mr. Ulrich.

Alla fine troviamo una precisa corrispondenza tra questi due primi episodi della triade: ambedue le protagoniste, giunte alla conclusione del film, vedono evaporare il loro Eden personale. Anna Maria, dopo aver constatato la dimensione di perdizione che la circonda (e allora i segmenti rimarcati sopra in quest’ottica fungono da episodi che minano la sua religiosità), inveisce contro il Simbolo del Sacrificio fustigandolo, ricreando una Salita al Calvario nella piccola camera di un appartamento austriaco. Al pari di quanto era successo alla sorella in Africa, il Paradiso è perduto.

2 commenti:

  1. Seidl è uno di quei registi di cui bisognerebbe vedere tutto, e questo l'ho capito dal primo, formidabile, film che di lui mi sia capitato di vedere, "Jesus...", che, ancora adesso, pure dopo aver visto il primo "Paradise" e "Import/Export", resta per quanto mi riguarda la sua vetta artistica. Non sapevo che fosse finalmente reperibile il secondo capitolo della trilogia, ma è già in dl. Grazie.

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  2. Per me Import/Export rimane il suo lavoro più compiuto. Sarebbe interessante vedere i film che precedono Animal Love (1996), pare siano meritevoli.

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