Non so se si possa dire che l’ombra lunga di Lanthimos si sia protesa anche sul cineasta sotto esame, gli approcci alla materia cinema sono parecchio diversi però condividendo la medesima patria d’appartenenza un pensierino lo si fa. Efthimis non è asettico e glaciale come il collega Yorgos, ciò non toglie che anche lui sia molto attento all’aspetto formale. Che sappia girare lo avevamo capito da subito, in Unbuilt Light l’apparato estetico è di livello piuttosto elevato e si coniuga bene con una pista sonora che è ancora meglio, l’uso di un audio a tratti dislocato a tratti in sovrapposizione alle immagini mute, appare per chi scrive la scommessa migliore (perché vinta) da parte del greco-tedesco. Eppure qualcosa non torna, è come se ci fosse una leggera patina che lucida l’involucro, è una proposta perfettina, misurata, trattenuta nell’impronta che gli si è voluta dare, spero mi si passi l’espressione “infighettamento autoriale” per rendere l’idea, senza offesa al regista, ognuno può scegliere la propria linea, ed esattamente per questa ragione non ho trovato molta congruenza nell’inserimento di filmati amatoriali che fungono, forse, da memoria visiva per il vecchio, gli stralci non si amalgamano troppo bene con il resto (e si badi che io sono il fan numero uno di assemblaggi del genere), e poi il finale, sì ok, ha una serie di perché e percome, la risata continua, il tragitto in auto, la sparizione tra le fronde, la luce pulsante (del titolo?) nascosta dietro al tronco... boh, non mi ha colpito così tanto, la tecnica da sola a volte non basta.
giovedì 1 giugno 2023
Unbuilt Light
Tipo
eclettico questo Efthimis Kosemund Sanidis, tre cortometraggi visti e
tre proposte eterogenee, però, scava scava, un comune denominatore è
dato da un’estesa indeterminatezza che il regista ama diffondere
nelle sue opere. II (2014) è
l’oggetto più inclassificabile, Astrometal
(2017) non è da meno ma ha dei barlumi di leggibilità al pari di
Aktisto Fos (2017) che
forse del trio è il lavoro maggiormente comprensibile e strutturato,
seppur immerso in un clima di ardua decifrabilità. Lo spunto
principale che attraversa il film è di tipo esistenziale con
attenzione sul versante senile, è infatti un anziano uomo il
protagonista, anche se definirlo tale risulta difficile, EKS ritaglia
degli spazi filmici scollati gli uni dagli altri dove l’uomo,
spesso ripreso di spalle, è tanto presente quanto passivo, la mdp
del regista si interessa al contorno, ad una donna su un camioncino,
ad una fiera equina, agli invitati al suo compleanno, ad una vagina,
l’unico momento in cui l’uomo è al centro della scena è quando
cade rovinosamente a terra, è il chiaro segnale di una posizione
debole, uno degli ultimi passi di un’intera vita. Quindi, senza
avere un punto fermo sullo schermo, si vive la veloce panoramica un
po’ frastornati, anzi forse dovrei dire un po’ lontani, non si
empatizza granché con le vicende che si susseguono, magari era un
obiettivo Kosemund Sanidis, per carità, sarebbe assolutamente
legittimo, però pensando ad ulteriori pellicole dalle traiettorie
universali l’assenza che qui pesa è quella di un calore, di un
sentimento, l’assenza di un cuore.
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