domenica 14 novembre 2021

Astrometal

Cambia lo scenario, cambia in parte l’approccio alla materia cinema rispetto a II (2014), ma per Efthimis Kosemund Sanidis la cripticità rimane un credo a cui attenersi per modellare la propria opera, difatti anche di Astrometal (2017), detta papale papale, si comprende poco, quel poco è dato dagli elementi più in vista, ovvero che il film è contenuto nello spazio temporale di una notte dove due ragazzi e una ragazza si recano in una discoteca per passare la serata. Questo è quanto vediamo che però non è abbastanza, perché il regista, anche alla luce del corto precedente, è uno che invita ad andare oltre la patina delle immagini e al tentativo di dare loro una consequenzialità logica, pur non avendo un metodo contemplativo integralista (soprattutto Astrometal) la sua visione delle cose si mette più a disposizione del nostro sentire che del nostro osservare, qui abbiamo un oggetto che punta ad un’atmosfera e non ad un racconto, che si prefigge di evocare certi stati d’animo, certe sottili inquietudini, che flirta con una dimensione onirica (la catalessi del finale, loro dormono in macchina e la città si risveglia), mai netta né totalmente da escludere.

Per giungere a tali suggestioni EKS si avvale di strumenti piuttosto efficaci che gettano il corto nell’inconsueto, prova ne è la scelta di svuotare il club di persone (perché, guardando bottiglie e bicchieri, qualcuno, prima, lì c’è stato) per riempirlo con un disturbante frastuono cacofonico, come se le casse del locale fossero state sfondate, è una trovata weird che si erge un po’ a simbolo del film, sebbene comunque aleggino altri squarci enigmatici, si noti il momento migliore, ossia l’incursione lynchiana nella stanza buia compiuta dal ragazzo rasato che, stalkerato da Sanidis, si volta inaspettatamente verso la camera, verso di noi, oppure la scena appena susseguente dentro ad uno spogliatoio che pare slegata dal resto, forse è avvenuta prima, o forse dopo. Sul rapporto che c’è tra i tre non viene esplicitato nulla, si intrasente però un’ambigua energia intorno al “terzo incomodo”, ed è una sensazione che diventa senso, uno dei tanti possibili o impossibili, d’altronde la direzione da fornire a questo senso spetta a chi guarda.

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