sabato 6 novembre 2021

Pendular

Non è che qui si vuole scivolare sul confronto come unico metro di giudizio, però, visto che Júlia Murat, ad oggi, di lungometraggi ne ha girati solo due, e uno, tra l’altro, davvero notevole, viene facile compararli anche perché l’altro, cioè questo Pendular (2017), di notevole per quanto mi riguarda ha ben poco. Il fatto è che Found Memories (2011) aveva tutt’altro respiro, sia nel cosa che toccava certe profondità esistenziali, sia nel come attraverso intuizioni stilistiche che pur non risultando innovative facevano il loro dovere, qui, al contrario, non vi è granché che possa essere ricordato né sul fronte tematico né su quello tecnico. La situazione che si presenta è la seguente: una coppia formata da un lui scultore e da una lei ballerina decidono di vivere e lavorare all’interno di una specie di fabbrica in disuso, fin da subito non pare un mistero che l’ambiente intorno a loro sia più uno spazio mentale tanto caro al cinema moderno che uno spazio fisico, comunque, constatato ciò, abbiamo un’altra imboccatura non propriamente richiesta: è immediata la divisione che, chiaramente, non è soltanto dettata dalla riga rossa sul pavimento ma bensì da qualcosa di maggiormente invisibile. Quindi i due innamorati e il loro rapporto a sua volta raffrontato alla produzione artistica, Pendular si occupa di sondare una tale interdipendenza, per il sottoscritto non riesce ad essere convincente in nessuno dei due campi.

Sulla prospettiva sentimentale la resa (dis)amorosa non ha guizzi, ci sono miriadi di ritratti simili nell’autorialità odierna, un po’ di non detto, un po’ di sviamento dalla banalità, un po’ di erotismo senza filtri, il duo della Murat è sostanzialmente così: poca roba. Vieppiù che come da copione arriva sempre puntualissimo un elemento che sconvolge l’equilibrio instauratosi, in Pendular si tratta della maternità, desiderata da lui ma non da lei. Dal momento in cui l’uomo esprime il suo sogno paterno non corrisposto il legame inizia a perdere colpi, si allontanano, discutono, una certa tensione cala nel capannone, e in una scena nuovamente troppo istantanea si invertono perfino i ruoli a letto con lui che diventa passivo. Però, che monotonia! Manca proprio un ritmo, e non mi riferisco a un qualcosa legato alla velocità, un ritmo, magari sensoriale, ci può anche essere in un film contemplativo, Pendular è una linea piatta  che nell’illustrarci gli alti e bassi dei due fidanzati non trasmette il minimo pathos, puoi girare per sottrazione quanto vuoi ma se parti sottraendo da uno zero ti rimarrà ben poco in mano alla fine. Non pervenuto il correlato discorso artistico, o, se pervenuto, per nulla fertile, dovremmo starcene del fatto che una crisi personale comporta anche una crisi creativa? Sbadiglio. Niente da fare nemmeno la faccenda del cavo di ferro che sembra piazzata lì giusto per intorbidire le acque. 

Il picco drammatico (lei abortisce se ho ben inteso) è una telefonata, il fatto che dopo la spaccatura o simil tale i due si vedano in un bar fuori dal deposito fatiscente è un’ulteriore ovvietà che sottolinea quanto la loro relazione “vivesse” in quel preciso luogo. Le professioni che fanno non hanno un’influenza effettiva nella storia, ho percepito che avrebbero potuto svolgere qualsiasi altra mansione che il succo sarebbe rimasto lo stesso. 
Indubbiamente, e lo dico con un filo di amarezza, un’opera seconda non all’altezza della prima.

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