giovedì 18 novembre 2021

El viaje del cometa

La “cometa” del titolo non si rifà ad un corpo celeste bensì al girovagare di un camper super accessoriato guidato da una coppia di mezz’età mossa da un nobilissimo intento pedagogico: viaggiare in lungo e in largo per il Messico proponendo lezioni di astronomia gratuite ai bambini delle cittadine che incontrano lungo il cammino, quindi se il Cometa... non è una cometa, metaforicamente è un po’ come se lo fosse perché il suo passaggio porta comunque una luce che ha sembianze divulgative e umanitarie. Così El viaje del cometa (2009) è il resoconto di questo progetto, una specie di diario visivo con tanto di mappa sovrimpressa tenuto da Ivonne Fuentes, una professionista della settima arte che, oltre ad essere la figlia di Enoc Fuentes, l’ex professore a capo del Cometa, si occupa principalmente di direzione artistica (c’è una sua collaborazione in La sangre iluminada [2007] di Iván Ávila Dueñas, a sua volta produttore del film in oggetto), la regia non deve essere il suo campo di lavoro preferito perché dal 2009 ad oggi non risultano altri titoli a sua firma, ciò non toglie il fatto che El viaje del cometa sia un’opera a cui si guarda con rispetto perché, prima di qualunque ragionamento tecnico possibile, ci mostra una sacca di umanità rara, una bellezza umile di cui c’è sempre bisogno e che risponde ad una domanda che fa grossomodo così: “ma io, sì proprio io, cosa posso fare per gli altri?”, ce lo dice Enoc e la sua compagna che cosa si può fare, innanzitutto partire, andare, lasciarsi dietro qualcosa per guardare avanti e poi far alzare la testa dei bimbi verso il cielo, verso il sogno, perché come dice l’anziana donna in zapoteco all’inizio “la vita è fatta di sogni. L’unica cosa che una persona deve fare è inseguirli fino a che non diventano veri”, a leggerla suona come una massima banalotta, ma nel contesto filmico se ne ha una percezione diversa, lo giuro.

Il fatto che ci sia un legame sentimentale tra chi la pellicola l’ha diretta e chi è il protagonista della stessa devo ammettere che si sente, il signor Enoc oscilla tra la figura del prof. buono ed il padre che ora diventando nonno è ancora più amorevole di prima, ma soprattutto, dal ritratto che se ne dà, il vero amore è indirizzato alla sua passione che decide di condividere con chi magari nella vita non avrebbe mai avuto l’opportunità di posare l’occhio sul mirino di un telescopio. Non è un processo di esaltazione o di autocelebrazione famigliare, il tono generale è leggero, scorre ad un ritmo naturale dove l’approccio documentaristico esalta le meraviglie paesaggistiche messicane e parimenti si interessa del reale che c’è intorno, ruba dialoghi, istanti futili, ascolta le lezioni di scienza da bravo discente. Ma la regista non si ferma ad una forma scolastica, sono davvero numerose alcune sue intensificazioni che alterano il girato, abbiamo parentesi in un bianco e nero granuloso, inserimenti di fotografie e frame accelerati, insomma si tenta di vivacizzare il tutto e questa voglia di sperimentare ha culmine in un monologo proferito da Enoc dove si affacciano addirittura dei particolari animati, qui l’insegnante si mette a nudo e con un montaggio che pone in sequenza l’album dei ricordi della famiglia, si diffonde una riflessione che non esito a definire toccante, un momento alto che passa dalla propria storia personale al senso di un’esistenza che trova pienezza nel viaggio e negli insegnamenti che se ne possono trarre. Molto, molto bello, per le parole dette, certo, ma anche per la confezione proposta che tali parole le nobilita. Se qualcuno ci vedrà della morale non richiesta amen, a chi scrive non è pesata nemmeno l’ultima lezione, quella di non arrendersi neanche di fronte alla burocrazia che impedisce al Cometa di salire sul traghetto.

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