mercoledì 28 giugno 2023

Notes from Unknown Maladies

Andamento lento per Notes from Unknown Maladies (2018), documentario per cui il regista filippino Liryc Paolo Dela Cruz, già assistente di Lav Diaz, ci fornisce un’avvertenza già nel prologo a sfondo scuro: “questo film riguarda mia nonna, lei ha novantaquattro anni, a volte si ricorda di me, ma la maggior parte del tempo se ne dimentica”. Quindi questa signora anziana, uno scricciolo di ossa e capelli fini la quale, probabilmente con un basso grado di consapevolezza, diventa la protagonista di un film che nel nome di Chantal Akerman non può essere più casalingo di così. Dela Cruz, posizionando la sua videocamera all’interno dell’abitazione e lasciandola lì immobile a filmare la vita statica della donnina o al massimo punteggiata da piccolissime azioni come spalmarsi un unguento sulle gambe o farsi fresco con un ventaglio, ci restituisce un ritratto sulla senilità privo di didascalie e commenti superflui, si può dire, e non è un’affermazione che si enuncia spesso, di come davanti ai nostri occhi scorra la realtà catturata per come è tale. Una realtà che comunque, seppur nella monotonia delle giornate divise tra visite dei nipoti e temporali tropicali, esprime, o se volete racconta, un senso dall’impronta universale, ovvero quel Capolinea, quella Fine, quella Caducità umana che nel cinema è, ed è stata, pane per tutti, dai principianti ai maestri pluridecorati, perché racchiude il significato ultimo dell’esistenza. Quindi: c’è solo una vecchietta che striscia i piedi in stanze apparentemente gigantesche al suo passaggio? Esatto, è quasi tutto qua.

Il quasi ammette le seguenti specifiche: il regista dà un taglio artistico al suo lavoro, il bianco e nero gli permette di cogliere dei contrasti interessanti tra la luce proveniente dall’esterno e le ombre che si allungano nella scarna dimora, inoltre si nota una tendenza a giocare con le prospettive e i riflessi degli specchi dove la nonna appare mimetizzata nel mobilio. Ma la mente di Concepcion, è così che si chiama, è offuscata dalle nebbie della memoria, sicché nell’osservazione silenziosa di Paolo la vediamo parlare, sussurrare, inveire [1] con dei fantasmi che ogni tanto le vengono a fare visita, entità che la fanno recriminare sul passato e che richiamano in causa chissà chi e chissà per cosa, e l’opera ha un po’ il suo centro gravitazionale nello scompenso mnemonico della signora, non, ovviamente, da un punto di vista clinico (del resto anche il titolo resta piuttosto vago), quanto per la solidarietà, la fratellanza, e, perché no, anche la tenerezza che si prova verso un nostro simile, e devo ammettere il piacere di constatare che anche da un esemplare cinematografico ridotto all’osso se non oltre, è possibile desumere una portata concettuale di spessore perché non possiamo negarlo: Concepcion è la nonnina che abbiamo perso, la mamma che perderemo nonché ciò che noi stessi, un giorno futuro, saremo.
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[1] In tagalog presumo. Se sì, rinnovo lo stupore, già registrato nei film di Brillante Mendoza, sulle infiltrazioni inglesi e spagnole nella lingua parlata.

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