lunedì 26 giugno 2023

El rastreador de estatuas

El rastreador de estatuas (2015 – ma il titolo che compare all’inizio è privo dell’articolo “el”, fidiamoci di IMDb e della locandina) è un documentario che, attraverso una voce narrante in terza persona, racconta, con presumo fortissimi elementi autobiografici, la storia di Jorge, un filmmaker cileno espatriato negli Stati Uniti, che un bel giorno vede a casa di amici un film chiamato Monos como Becky (1999) incentrato sulla vita del neurologo portoghese Egas Moniz, e proprio l’immagine della statua dedicata al dottore premio Nobel fa scattare qualcosa nell’animo del protagonista, si convince infatti che suo padre, anch’egli medico, da bambino lo portò in un parco di Santiago dove era presente il busto dello scienziato europeo, sicché, armato di videocamera, ritorna in Cile per impegnarsi in questa ricerca. Il regista Jerónimo Rodríguez, di cui non ho trovato granché in Rete, utilizza lo spunto della caccia-alla-statua per compiere un viaggio più introspettivo che geografico dove abbondano digressioni riguardanti vari aspetti del Paese d’appartenenza. Non lo si sa spiegare in modo razionale, ma che i collegamenti da un tema all’altro siano un po’ ballerini è più di una sensazione, anche se forse è ammissibile un tale saltellare perché è il corrispettivo filmico di una mente in transizione verso un’origine sia storica che personale. Così, nella vana ispezione degli spazi verdi santiagheñi (se ho ben inteso nel montaggio le immagini di America, Cile e credo anche Argentina sono mixate tra loro con difficile possibilità di distinzione), la traccia principale prende ulteriori deviazioni.

La figura paterna pare comunque rimanere il polo di maggiore attrazione per Rodríguez, all’incirca il papà entra in buona parte dei discorsi, sia che essi si occupino di politica (e c’è tutta una finestra sulla dittatura e sul comunismo) che di calcio (la passione per il calciatore italo-argentino Omar Sívori), mentre una divagazione sul cinema (e precisamente su Raúl Ruiz) sembra legata esclusivamente a Jorge. Di opere che si rifanno alla speleologia intima dell’umano se ne sono vedute e se ne vedranno ancora parecchie, non è che ci sia solo un metodo o solo un approccio per identificarle, anzi la bellezza sta nell’opposta molteplicità che le forma, però tutte, o almeno le migliori, giungono a produrre un fine precipitato fatto di calore, di frequenze emotive, di trasporto esperienziale, caratteristiche che a mio avviso El rastreador de estatuas non arriva ad ottenere. Il pensiero che vi fosse una stretta relazione tra Moniz e il genitore di Jorge data la professione in comune mi è passato per la testa senza però depositare alcun seme capace di germogliare, ho scorto più buche che ponti qui, vuoti non colmati dalla scrittura di Rodríguez, e già che ci siamo dico infine che la conclusione con il trasferimento in Portogallo non tira le somme che ci si poteva attendere. Dalla regia chiedono un solo aggettivo per liquidare il commento. E io obbedisco: insipido.

Nessun commento:

Posta un commento